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Buchi nel cv: come spiegarli al colloquio, tre consigli pratici

Buchi nel cv? Ecco tre consigli pratici su come spiegarli ad un colloquio di lavoro e magari riuscire a trarne anche un piccolo vantaggio.

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Con il mercato del lavoro attuale è sempre più facile vivere uno o più periodi di inattività lavorativa, una situazione che i selezionatori non sempre vedono istintivamente bene, in quanto il primo pensiero è quello di trovarsi, nel migliore dei casi, davanti ad una persona che un po’ indecisa. E’ pur vero che, proprio a causa della precarizzazione imperante, questo atteggiamento negli ultimi anni è sostanzialmente cambiato, ma questo non significa che i buchi nel cv non sia necessario spiegarli. Magari per quanto possibile, si può anche cercare di trarne un vantaggio.

Come spiegare i buchi nel Curriculum durante un colloquio

buchi nel cv

Un buco nel cv può verificarsi per un gran numero di ragioni. Difficilmente, il motivo è quello di essere dai fannulloni, molto più spesso dietro ci sono chiusure o delocalizzazioni di aziende, problemi di salute o familiari, nascita di un figlio in condizioni particolari e altre ragioni sostanziali che impongono una rinuncia involontaria e quindi forzata al posto di lavoro. Ma come comportarsi ad un colloquio per dimostrare di non essere dei nullafacenti, o delle persone che non sanno quello che vogliono? Vediamo tre consigli pratici in merito.

Valorizzare i buchi nel CV

I buchi nel cv sono comunque periodi di vita vissuta. E’ sbagliato pensare che siccome non si è lavorato, allora la scelta migliore sia quella di nasconderli, o peggio non considerarli. Periodi di studio, di volontariato, di lavoro da freelance, vanno comunicati e valorizzati nel migliore dei modi. Per fare un esempio pratico, difficilmente se si è partiti per l’Africa ad aiutare le popolazioni meno fortunata, chi si ha davanti penserà che siete un fannullone. La stessa cosa se durante i buchi si è tentato di aprire un’attività, o lavorato con Partita IVA. Non per forza ci deve essere un contratto di mezzo. L’importante è che l’ interlocutore lo sappia. Se non gli verrà comunicato nulla infatti, penserà probabilmente che non è stato fatto nulla. E certo non è un buon biglietto da visita.

Rivedere il curriculum

Purtroppo c’è chi un lavoro non lo trova da anni. La disoccupazione di lungo periodo è un problema enorme in Italia e l’impressione è quella che andrebbe affrontato in maniera molto più approfondita dalle istituzioni. Non sempre però chi resta disoccupato impiega anni a ritrovare un lavoro. Spesso capita di vivere più periodi di inattività in diversi anni, periodi che però constano di solo qualche mese. In questo senso alcuni esperti suggeriscono di inserire nel cv solo l’anno , tralasciando il mese, in modo da coprire i buchi nel cv quando presenti. Può essere una soluzione valida e non certo truffaldina. E’ vero che l’esperienza conta, ma una differenza di uno o due mesi quasi mai può avere un valore sostanziale. E’ molto più importante dimostrare di aver lavorato bene ed essersi impegnati nei mesi di attività, che poter vantare un paio di mesi in più senza magari essere pienamente informati su ciò che si è fatto.

Essere onesti e concisi nella spiegazione dei buchi

Come spiegato prima, valorizzare i periodi di inattività che caratterizzano i buchi nel cv è sicuramente una cosa da fare e anche molto bene. Bisogna prepararsi i discorsi ed eventuali risposte, cercando di prevedere per quanto possibile anche domande scomode o impreviste, in modo da non trovarsi a bocca aperta ma senza saper dire nulla al colloquio. Tutto ciò però non significa né che si possano raccontare “balle” per vantarsi, né che la spiegazioni dei buchi debba durare più o meno come una tesi di laurea.

Per tornare all’esempio dell’aver fatto volontariato in Africa: giustissimo parlarne, giustissimo anche “pompare” quel tanto che basta su quanto sia stata stancante, ma bella e istruttiva una simile esperienza, (un po’ di personal branding non guasta mai), ma (facciamo un esempio estremo) dire che se non fosse stato per voi 100 bambini sarebbero morti di fame, quando il cibo non siete certo stati voi a procurarlo, oltre ad essere pratica decisamente poco etica (per usare un eufemismo), è anche controproducente dal punto di vista lavorativo. L’interlocutore, che è poi chi deve assumere, non è stupido e conosce la realtà delle cose almeno quanto il candidato che sta valutando. Se quest’ultimo si vanta di cose che è impossibile abbia fatto, difficilmente non se ne accorgerà, con tanti saluti al posto di lavoro.

Altra buona abitudine: ok spiegare concretamente  l’esperienza (ipotetica) vissuta in Africa, ok anche aggiungere qualche particolare curioso per dare un po’ di sale al racconto. La cronistoria ora per ora di ogni giorno passato nel “villaggio sperduto del continente nero” invece no. Assolutamente. Il colloquio di lavoro non è un meeting di tre giorni. Il tempo è limitato, non bisogna divagare mai. Di un’esperienza importante che si decide di raccontare è necessario scegliere i punti salienti e prepararsi un breve discorso che possa descriverne l’essenza, evitando però particolari inutili o superflui, che possono annoiare chi vi sta di fronte.

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