Un argomento molto dibattuto negli ultimi mesi, ma in realtà anche negli ultimi anni, è quello delle cosiddette case green. Una direttiva europea prevede che la gran parte delle abitazioni esistenti (e quindi non solo quelle costruite dalla direttiva in poi) cambi classe energetica, arrivando in classe D entro il 2033 e prima ancora in classe E entro il 2030. Il motivo è quello di contenere il cambiamento climatico riducendo le emissioni delle case in quanto si risparmierebbe sul riscaldamento. A parte il discorso sull’utilità o meno di un provvedimento del genere rispetto al clima dell’intero pianeta, che non ci compete, bisogna dire che l’operazione, andando nei dettagli, se non è materialmente impossibile perlomeno lo sembra. I motivi sono tanti e tutti molto concreti. Si tratta di problemi sia di natura tecnica che economica, ma c’entrano anche alcune questioni sociali e di sicurezza. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.
Numero di imprese e tempi
Il primo problema che viene in mente riguarda i tempi di svolgimento di questa ipotetica operazione di massa, legati al numero di imprese di settore presenti sul territorio. Siccome stiamo parlando, secondo stime che qualcuno considera anche troppo basse, di 9 milioni di case, si tratterebbe di rivoluzionare completamente questo altissimo numero di abitazioni in 10 anni, quindi circa 900.000 case all’anno, se si presuppone un andamento perfettamente lineare, cosa non proprio facilissima. Ma il numero di imprese di settore operanti sul territorio non è in grado di soddisfare una richiesta del genere. Secondo una stima dell’Ance, associazione dei costruttori, per realizzare anche solo il 15% ci vorrebbero 630 anni . Questo perché ovviamente data la complessità dei lavori, si tratterebbe di operazioni che durerebbero molti mesi, quando non anni, per ogni casa.
E in Italia ci sono circa 500.000 imprese edili. Certo parte di esse potrebbe svolgere più lavori contemporaneamente, ma non tutte sono specializzate in quello specifico settore e soprattutto bisognerebbe in pratica dare per scontato che per dieci anni facessero solo quello, o quasi, tralasciando o ritardando gli altri lavori. In più la direttiva è ancora non del tutto definitiva e di conseguenza un anno è già quasi passato, se si prende come base i dieci anni che ci separano dal 2033. I lavori insomma anche iniziassero subito ovunque, almeno all’apparenza non sarebbero mai in grado di terminare in tempo. Un’altra cosa da considerare è che questa è un’analisi basata anche sul fatto che non si verifichi mai nessun imprevisto o ritardo, che considerando l’enorme quantità di materiali e di personale richiesto per compiere uno sforzo simile è decisamente improbabile come scenario. Insomma, anche dando per scontato la buona volontà di tutti (e anche qui ci sarebbe molto da discutere), è veramente difficile che fili tutto liscio sempre. Ed i problemi creati da ritardi e sospensioni potrebbero essere letteralmente enormi per la popolazione.
Fattibilità tecnica
La fattibilità tecnica dell’operazione è un altro cosa da tenere presente. E’davvero possibile modificare un numero così gigantesco di case, anche a prescindere dai tempi? Abbiamo già visto come il numero di imprese non potrebbe sostenere uno sforzo del genere, ma andando più nel dettaglio, la richiesta contemporanea di materiali ad esempio sarebbe probabilmente impossibile da soddisfare. Basti pensare a tutti i ponteggi da mettere intorno alle case. Bisogna infatti dire che perlomeno in Italia, ma probabilmente non solo, un modello standard di lavori è abbastanza impossibile in quanto i nostri edifici sono tutti diversi, messi in spazi spesso strettissimi dove in alcuni i casi i ponteggi nemmeno potrebbero essere montati. In altri, di casi, si bloccherebbero intere vie a tempo indeterminato. Spesso i palazzi oltre ad essere vicini sono anche appunto molto differenti tra loro ed un palazzo potrebbe ostacolare il lavoro su di un altro edificio.
Inoltre esistono interi paesi che sono letteralmente dei borghi che non andrebbero minimamente toccati perché di interesse storico. Ma come decidere quali sì e quali no? Come decidere quali città includere e quali no? E quali zone di quali città o paesi? E se ci fosse un palazzo storico in una zona degradata? E se i palazzi fossero sei o sette? Come orientarsi nell’includerlo/i o meno nei lavori? Anche solo prendere decisioni del genere richiederebbe anni, visto il nostro immenso patrimonio culturale. Un altro problema ancora è che alcuni quartieri di alcune città, sono semplicemente strutturalmente non modificabili, anche se non hanno nulla di storico. Ma allora come sarebbe possibile compiere i lavori su alcuni quartieri e su altri no a prescindere dalla loro storicità? Andiamo avanti: la direttiva esclude (per ora) le seconde case. Ovvero bisogna modificare la prima ma non la seconda se la si ha. Ok, ma in un ipotetico mercato di case modificate, come mai potrebbe contare che una casa sia la seconda o la prima? Non essendo stata oggetto di lavori semplicemente perderebbe valore a prescindere. Di conseguenza la direttiva sembra comunque essere abbastanza ostica per chi ha una seconda casa, anche in caso modifichi la prima.
Una persona che dovesse scegliere di comprare un’abitazione non potrebbe comunque tenere conto dell’utilizzo fatto fino a quel momento da chi gliela vende. Ognuno insomma, ha il diritto di abitare dove gli pare e non si capisce come un parametro del genere possa essere tenuto in considerazione da un mercato fatto di case sia modificate che non. Il rischio è quello per il quale si crei un mercato molto litigioso (anche magari per vie legali) in cui chi vende casa cercherebbe di alzare il prezzo millantando una prima casa come seconda (cioè una casa non modificata perché spacciata per seconda, ma che in realtà era la prima. Questo nel tentativo di non fargli perdere valore), mentre chi dovrebbe comprarla farebbe esattamente il discorso contrario. Insomma, non sembra esistere un parametro certo ed il valore delle abitazioni potrebbe abbattersi anche senza alcuna ragione plausibile.
Fattibilità economica
Tra tutti quelli esistenti non è chiaro quale sia il problema più grande da affrontare, ma sicuramente il lato economico della faccenda è letteralmente gigantesco. Si è stimato che i proprietari di un’abitazione normale dovrebbero spendere circa 50.000 euro a testa per rinnovare le case e farle diventare green secondo la classe che indica la UE, ma chi ha davvero tutti quei soldi da spendere in una operazione che non sia letteralmente vitale? In Italia il problema è ancora più grande perché gli stipendi non crescono praticamente da 30 anni ed il potere economico a disposizione delle famiglie si è fortemente eroso, quindi anche la loro capacità di risparmiare. Se si è costretti a spendere di più ovviamente si potrà risparmiare di meno, data un’entrata economica che è sempre quella.
In alcuni tipi di abitazione, ad esempio le villette, le spese potrebbero arrivare anche a 100.000 euro. Ma chi ha una villetta non è detto sia ricco, può darsi semplicemente l’abbia comprata molti anni fa, quando ancora l’economia interna permetteva a famiglie perfettamente normali dal punto di vista economico di fare certi “salti”. Inoltre c’è anche un problema etico: non è veramente una grande idea imporre alla gente come spendere i propri soldi, qualsiasi sia la cifra a loro disposizione. Un’altra questione è che per molti certe spese, ammesso che non ne abbiano già acceso uno, sarebbero affrontabili solo con un mutuo. Ma appunto, come affrontare due mutui? E ancora, come dire ad una persona di 60 anni che deve fare un debito con la banca magari di altri 20 o 30? E quale banca concederebbe simili mutui? Un allarme questo lanciato non molto tempo fa direttamente dall’Abi, l’associazione delle banche.
Per ovviare a questi ostacoli si è anche pensato ad un sostegno statale: però anche qui i problemi sono molti: se il sostegno fosse parziale, si tratterebbe comunque di far spendere decine di migliaia di euro a famiglie che magari campano con 1000 euro al mese o di meno. Un’operazione letteralmente impossibile. Quindi il sostegno dovrebbe essere totale, ma anche questo economicamente sembra poco fattibile. Se prendiamo il dato di prima, ovvero 9 milioni di case, per una media di 50.000 euro a casa stiamo parlando di 450 miliardi di euro in meno di dieci anni. Se per comodità facciamo 10 (anni) vuol dire che lo stato dovrebbe spendere 45 miliardi all’anno solo per finanziare le case green, Ma 45 miliardi sono circa una manovra economica e mezza. La “manovra economica” è il DEF (Documento di Economia e Finanza), ovvero il testo programmatico in cui il governo di turno stabilisce le spese totali per l’anno seguente. Per capirci, la manovra economica approntata a fine 2022 dal governo Meloni è stata di 35 miliardi. Quella di fine 2021 del governo Draghi di 30. Entrambe sono di molto inferiori a quello che lo Stato dovrebbe spendere solo per le case green, ogni anno da qui al 2033, ovviamente in aggiunta tutte le volte al DEF.
Ancora c’è da aggiungere che un aiuto statale, anche al 100% si configurerebbe come una sorta di Superbonus 110%, la misura fortemente voluta dal governo Conte. Ecco, anche questo provvedimento è stato purtroppo vittima di molti problemi. Se l’idea in se stessa non era certo cattiva, una volta calato nella realtà si sono poi verificate truffe da parte di persone senza scrupoli e varie altre difficoltà come quella dei cosiddetti “crediti incagliati”. Qui il problema non è nemmeno quello della bontà o meno della legge ed è invece probabilmente più strutturale: semplicemente nessuna legge mai potrà prevedere tutto e più girano soldi più è possibile che nascano questioni troppo complesse da risolvere, dovute o meno alla malafede di qualche operatore del settore poco importa, alla fine, se si guarda al portafoglio degli utenti.
Un’altra cosa da dire sulla fattibilità economica è questa: Riprendendo lo studio dell’Ance di prima che spiega che per rinnovare il 15% del patrimonio abitativo ci vorrebbero in pratica 630 anni, va specificato che la stima riguarda i lavori “senza incentivi”. Ma per incentivi si intende quelli dati alle aziende, perché ovviamente non saranno tante ad avere la forza economica per investire in materiali, personale e formazione dello stesso in maniera così massiccia. Quindi i soldi che lo stato dovrebbero sborsare sarebbero molti di più di quei 45 miliardi di euro all’anno per dieci anni citati prima. Perché se è vero che vanno sostenuti i cittadini, andrebbero comunque sostenute anche le imprese. Sostanzialmente quindi, quei soldi paiono proprio non esserci, né dalla parte privata né da quella statale.
Problemi di sicurezza
Un’ulteriore questione da tenere presente è di natura prettamente sociale, più precisamente riguarda la sicurezza delle abitazioni. Per il Superbonus 110% ci sono stati lavori durati anche due anni, questo è avvenuto ovviamente a causa di ritardi non certo dovuti alla legge, ma se trasliamo questo periodo ai lavori per le case green, è facile capire come queste strutture rimarrebbero letteralmente aperte per molti mesi (fossero anche solo 3, o 6 il discorso non cambierebbe). Ora, in una situazione come questa si possono verificare almeno due macro-casi: il primo è che la casa soggetta a lavori resti completamente deserta, ovvero bisognerebbe lasciare tutto quel che si ha sostanzialmente alla portata di chiunque.
Anche fidandosi completamente degli operai, non è plausibile che essi sorveglino ogni appartamento e soprattutto non sono per nulla tenuti a fare i sorveglianti, a dirla tutta nemmeno potrebbero farlo. Un altro caso è che delle persone fragili, come ad esempio quelle molto anziane, pur ancora autosufficienti rimangano da sole in casa con quest’ultima aperta a chiunque, diventando potenzialmente vittime di rapine o furti. La stessa cosa si può dire, con le dovute differenze, per i ragazzini che tornano da scuola al pomeriggio. E’ evidente che la necessità di tenere la casa ad esempio senza le finestre (perché andrebbero cambiate) per molto tempo possa generare un per nulla trascurabile problema di sicurezza. Questo perché come è ovvio la maggior parte delle persone di giorno va a lavorare e non ha certo né il tempo né la possibilità di supervisionare lavori complicatissimi che appunto durerebbero mesi anche dovesse andare tutto in maniera perfetta, nonché di presidiare la propria abitazione. Non si può certo pensare che ogni famiglia abbia a disposizione qualcuno che stia in casa per tutto il tempo necessario.
La direttiva europea purtroppo non dice come affrontare tutta questa serie di problemi, i quali non sono certo di entità leggera visto che riguardano l’economia di interi paesi, oltre che quella familiare, unitamente alla sicurezza delle cose di proprietà e delle stesse persone. L’impressione è quella che la cosa sia stata fatta un po’ troppo velocemente, meglio sarebbe una direttiva che affermasse che le case green, quelle ad inquinamento zero, debbano essere solo quelle di nuova costruzione dalla direttiva in poi.