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Colloquio di lavoro: e se a tradirci fossero i piedi?

Gli occhi vanno direzionati nel giusto modo e le mani tenute a bada. A costarci l’assunzione potrebbe essere il linguaggio del nostro corpo. Vediamo come fare

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Supponiamo che abbiate consultato più volte il “manuale del perfetto candidato” (che per fortuna non esiste) e che adesso vi sentiate prontissimi a rispondere alle domande che il selezionatore vi porrà. Immaginiamo che siate riusciti a reperire tutte le informazioni che riguardano l’azienda e la posizione per cui vi state proponendo e che non vediate l’ora di dimostrare la vostra “devozione” al recruiter. Tutto sembra incoraggiarvi a credere che il vostro colloquio di lavoro si tradurrà in un successo clamoroso, ma l’insidia potrebbe nascondersi dietro l’angolo. Ed a farvi “inciampare” potrebbe essere non tanto quello che direte con le parole quanto quello che suggerirete col vostro corpo.

La comunicazione non verbale

linguaggio del corpo

Il peso che gli addetti alla selezione del personale destinano alla comunicazione non verbale (quella che passa dai gesti e dai movimenti delle mani, delle braccia ecc…) cresce sempre più. Di pari passo con l’esigenza di trovare risorse sempre più “qualificate”. Nella vita come nel lavoro, ciò che diciamo con le parole può essere sbugiardato da ciò che comunichiamo col corpo. E chi dispone di specifiche competenze, potrebbe leggere nei nostri movimenti un’inadeguatezza che potrebbe costarci l’assunzione. Ecco perché, insieme alle parole e alle formule da pianificare con cura, altrettanta attenzione deve essere destinata al linguaggio del corpo. Che rischia di dire troppo e di snudare i nostri “punti deboli”.

L’arte di sapersi sedere

Partiamo col modo in cui è opportuno sedersi. Dopo aver stretto la mano del selezionatore (che, come ormai tutti sanno, deve percepire una stretta salda ma non troppo) dobbiamo accomodarci in modo da conquistare, da subito, la sua approvazione. Come? Il suggerimento è quello di stare in posizione eretta, ma senza eccedere nella compostezza. Di certo, va evitata la seduta reclinata, che suggerisce un eccesso di confidenza e di rilassatezza assolutamente fuori luogo. Così come la posizione troppo protesa su se stessi che, al contrario, svela tutto della nostra timidezza e insicurezza.

La schiena deve essere dritta, ma non eccessivamente. Il reclutatore deve trovarsi al cospetto di una persona composta, ma non “ingessata”, che trasmette equilibrio ed affidabilità. Una volta seduti, è altamente consigliabile lasciare le gambe libere. Cosa vuol dire? Che sistemare la borsa o i fogli che abbiamo portato con noi (per integrare le informazioni riportate sul nostro curriculum) sulle ginocchia potrebbe rivelarsi una mossa infelice. Non solo perché quando dovremo alzarci e ridare la mano al selezionatore, rischiamo di far cadere tutto per terra (trasformandoci, in un batter d’occhio, nel “Fantozzi” della situazione), ma anche perché gli oggetti posti fra noi e il reclutatore potrebbero suggerirgli un’esigenza di “difesa” che tradisce insicurezza.

Occhio agli occhi!

E proseguiamo con gli occhi che – essendo “lo specchio dell’anima” – durante il colloquio di lavoro, potrebbero metterci nei guai. Stabilire un contatto visivo con chi abbiamo di fronte è il pre-requisito: immaginare di non guardare negli occhi chi ci sta rivolgendo delle domande è, infatti, un’opzione che non prendiamo neanche in considerazione. Ma come dobbiamo guardare il selezionatore? Di certo non dobbiamo puntargli gli occhi addosso in maniera troppo insistita. Né accennare sguardi ammiccanti che potrebbero indurlo a considerarci dei “farfalloni” o delle “predatrici”.

Gli occhi devono ovviamente tradire interesse, ma stare con lo sguardo fisso (dimenticando di chiudere, di tanto in tanto, le palpebre) potrebbe mettere il nostro interlocutore a disagio. E disporlo negativamente nei nostri confronti. Per questo, gli specialisti della materia (coloro che tentano di dare le “dritte” giuste a chi si prepara ad affrontare un colloquio di lavoro) consigliano di ampliare lo spettro visivo all’intero viso e di non limitarsi ai soli occhi. Evitando (ovviamente) di fissare eventuali “segni particolari” come cicatrici, macchie, scottature et similia.

Tieni a bada le mani

Un capitolo a parte meritano le mani, che sono quelle che possono rivelare di più: nel bene e nel male. Partiamo col dire che dovremo essere in grado di controllarle. Un reclutatore che ha di fronte a sé un candidato che tende a toccarsi continuamente i capelli o la barba si convincerà, infatti, di avere a che fare con una persona nervosa ed agitata. Che non sa controllarsi. Le mani vanno sempre tenute a vista (metterle in tasca suggerisce un senso di scarsa trasparenza e può addirittura veicolare un messaggio minatorio), ma come detto devono essere utilizzate con criterio. Tamburellare con le dita sulla sedia o sulla scrivania è, ad esempio, una pessima idea, destinata ad infastidire il selezionatore.

Ma anche gli ampi movimenti e il continuo ricorso a gesti più o meno codificati possono scadere in una “teatralità” non richiesta. Il risultato? L’addetto alla selezione potrebbe stancarsi nel vederci “sproloquiare” con le mani e decidere di liquidarci prima del dovuto. Cosa fare allora? Come già detto, le mani vanno utilizzate con criterio: i gesti non sono banditi, ma devono servire a enfatizzare solo alcuni passaggi chiave. Il consiglio è quello di pensare alle mani come a due evidenziatori con cui è possibile mettere in risalto le parole che reputiamo “strategiche”. Evitando di veicolare un senso di irrequietezza e scompostezza che potrebbe far venire il “mal di mare” al nostro interlocutore.

Non cascare sui piedi

E chiudiamo con i piedi. Forse non ci avevate mai pensato, ma a tradirvi, durante il colloquio di lavoro, potrebbero essere proprio loro. I selezionatori più bravi – quelli che si divertono a decodificare il linguaggio del corpo – chiedono di intervistare i candidati in un ambiente che permetta loro di osservare le gambe e i piedi di chi hanno di fronte. Perché? Perché anche da quello riescono a carpire informazioni preziose. Esattamente come le mani, anche i piedi vanno tenuti a bada. Picchiettare ossessivamente per terra avrà lo stesso effetto (fastidioso) prodotto dalle dita che tamburellano. E accavallare e “scavallare” continuamente le gambe equivarrà a dire al nostro selezionatore: sono a disagio, non so cosa fare. O peggio ancora: non vedo l’ora che tutto questo finisca. I piedi devono essere fermi e ben piantati per terra (suggerisce un senso di sicurezza e affidabilità) e non devono muoversi convulsamente. Perché potrebbero urtare quelli del selezionatore – che sta molto attento alla prossemica ossia alle distanze che devono essere rispettate in una sana dinamica comunicativa – tradendo un senso di irrequietezza e di ansia che non deporrà a nostro vantaggio. Cascare sui piedi, dopo aver preparato tutto a puntino, sarebbe un vero peccato!

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