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Colloquio di lavoro: come rispondere alle domande comportamentali

I reclutatori non sono interessati a testare solo le competenze tecniche, ma vogliono capire che tipo di persona hanno di fronte. Per questo rivolgono al candidato domande che riguardano i suoi comportamenti. Meglio farsi trovare preparati

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Dura la vita dei selezionatori che devono scovare i candidati migliori tra una folla di “pretendenti”. Per farlo, hanno a loro disposizione le domande con cui devono testare il livello di preparazione di chi sta loro di fronte. Ma a volte può non bastare. Verificare le competenze tecniche del candidato rappresenta solo una parte del lavoro; durante il colloquio, il reclutatore deve tentare di farsi un’idea quanto più esaustiva possibile del suo interlocutore, al quale può quindi rivolgere domande comportamentali, tese a snudare gli aspetti più evidenti della sua personalità. Detta in parole più semplici: i selezionatori mirano, quasi sempre, a capire che tipo di dipendente o collega tu sia. Come ti comporti in determinate situazioni e quali scelte prendi, quando sei messo alle strette. Sei pronto a rispondere, in maniera efficace, a quanto potrebbero chiederti?

Colloquio di lavoro: 4 domande comportamentali su cui è meglio prepararsi

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Di fronte alle domande comportamentali (come anche alle altre, del resto), è bene rispondere con prontezza e precisione, senza tergiversare o rimanere sul vago. Non stare sulla difensiva: i selezionatori ti interpellano su situazioni che sembrano non avere stretta attinenza col ruolo che ti stanno proponendo solo perché devono valutare se sei la risorsa giusta da far entrare in azienda. Collabora e fornisci tutte le informazioni di cui hanno bisogno: descrivi dettagliatamente la situazione tipo su cui ti hanno interrogato, spiega come ti sei comportato e trai le conclusioni, precisando quale insegnamento hai ricavato da quanto sperimentato sulla tua pelle. I candidati solerti e collaborativi sono quelli che agevolano il lavoro dei selezionatori. E che, di conseguenza, si conquistano più facilmente la loro benevolenza. A patto, ovviamente, che siano anche preparati e competenti.

Sei pronto a rispondere efficacemente alle domande comportamentali che il selezionatore potrebbe rivolgerti, durante il colloquio di lavoro? Noi te ne proponiamo quattro.

Come stabilisci le priorità?

E’ un altro quesito insidioso, che può mettere in difficoltà chi non si è preparato a dovere sull’argomento. In pratica, il selezionatore vuole comprendere se il candidato che ha di fronte è in grado di gestire incarichi onerosi e situazioni caotiche, che richiedono la capacità di organizzarsi e la lucidità di decidere cosa è meglio fare prima e cosa può essere rimandato. Ma non solo: i reclutatori vogliono verificare se il candidato è un tipo che dà la priorità a quello che gli dice il capo o a quello che pensa possa aiutarlo a finire prima il lavoro. Se sta più attento al cliente o agli interessi dell’azienda. Anche in questo caso, è bene giocare a carte scoperte: racconta una situazione tipo e spiega a cosa sei solito dare la priorità, quando il tempo stringe e le cose da fare diventano troppe.

Descrivi la situazione più stressante che hai dovuto fronteggiare al lavoro

E’ la richiesta che i reclutatori rivolgono ai candidati che si presentano per ricoprire ruoli particolarmente impegnativi, in termini di tempo e di responsabilità. Vogliono capire come se la cavano, quando sono sotto pressione: sanno fronteggiare le emergenze? Riescono a reggere ritmi serrati? Sanno relazionarsi con colleghi snervanti e capi esigenti? Il consiglio è quello di fornire uno spaccato nitido e veritiero di quello che hai sperimentato nelle precedenti esperienze lavorative, soffermandoti sull’episodio che ha messo più a dura prova il tuo sistema nervoso. Saranno i reclutatori a valutare se il tuo racconto è convincente e se è sufficiente ad “abilitarti” alla candidatura del posto per cui ti sei presentato.

Quando ti rivolgi al capo per avere supporto o assistenza?

E’ la domanda con cui, durante il colloquio di lavoro, i selezionatori vogliono testare il grado di autonomia del candidato. Per comprendere se hanno di fronte una risorsa che è abituata a bussare, con una certa frequenza, alla porta del suo capo o se, al contrario, tende a disturbarlo il meno possibile. Non è faccenda di poco conto, specie se ci si candida per entrare in un’azienda di grandi dimensioni. Pretendere che il boss risponda a tutte le richieste di aiuto dei suoi dipendenti è impensabile. Per questo, il reclutatore deve scoprire se il candidato è solito inviare messaggi di S.O.S. solo quando è strettamente necessario o se, vinto da un’insicurezza cronica, lo scomoda in continuazione. E’ un punto su cui è bene riflettere: i manager sono alla ricerca di persone capaci e dinamiche, in grado di sbrogliare le matasse da sole. Se non lo sei ancora, lavoraci su.

Qual è la cosa che ti infastidisce di più del lavoro di gruppo?

E’ il quesito che serve a misurare la tua capacità di fare squadra. O perlomeno, la tua propensione a lavorare in gruppo. In pratica, i selezionatori vogliono capire se sei un tipo introverso e solitario o uno estroverso e socievole. Non c’è una risposta corretta da dare: il consiglio è sempre lo stesso, sii sincero e non barare. La posizione per cui ti candidi potrebbe non richiedere la necessità di lavorare insieme agli altri. E, in tal caso, il tuo essere poco comunicativo o empatico potrebbe non rappresentare un problema. Ma attento a quello che dici: un conto è affermare che preferisci iniziare a lavorare da solo per poi confrontarti, in un secondo momento, coi colleghi; un altro è asserire che non permetti a nessuno di mettere le mani sui tuoi progetti. Dare l’impressione di essere un misantropo e un presuntuoso non ti procurerà niente di buono.

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