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Come combattere la discriminazione nei confronti degli anziani al lavoro

La sinergia tra “vecchie glorie” e “giovani leve” garantirà successi pieni all’azienda: parola dell’esperto americano, Chip Conley. Scopriamo come possiamo combattere la discriminazione nei confronti degli anziani al lavoro.

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Parlare di discriminazione nei confronti degli anziani in un Paese che fa fatica a incoraggiare il ricambio generazionale (soprattutto al lavoro) potrebbe sembrare paradossale e controproducente, ma il discorso merita – a nostro avviso – un approfondimento. Non tanto perché conviene guardare con occhio benevolo ai nonni che, in molte famiglie italiane, aiutano concretamente ad arrivare a fine mese, ma perché ogni forma di pregiudizio e di discriminazione va combattuta, anche quando colpisce una categoria sociale che – a torto o a ragione – viene percepita come ingombrante e improduttiva. Mettiamo in soffitta i luoghi comuni e sforziamoci di analizzare la situazione con più attenzione: lavorare al fianco di una persona non più giovane potrebbe rivelarsi stimolante. O per lo meno formativo. Scopriamo perché.

Dall’Italia all’America: alcune considerazioni iniziali

Partiamo dai dati statistici (forniti dall’Istat ed aggiornati al 2017): in Italia, risiedono oltre 13,5 milioni di over 65, pari al 22,3% della popolazione totale, accompagnati da 4,1 milioni di ultraottantenni, pari al 6,8% del totale. Ma c’è di più: il cosiddetto “indice di vecchiaia” – che segna il rapporto tra il numero di over 65 e il numero di giovani fino a 14 anni – attesta che, in Italia, ci sono 165,3 anziani ogni 100 giovani. Non è un dato da sottovalutare, ma neanche da demonizzare, visto che – come già detto – gli anziani residenti in Italia danno spesso una mano ai loro figli e ai nipoti, colmando le falle di quel welfare pubblico che non funziona come dovrebbe mettendo in difficoltà un numero importante di famiglie italiane.

Ma torniamo a noi: appurato che il numero di persone “diversamente giovani” è particolarmente alto e stabilito che la vecchiaia non può e non deve essere considerata un handicap al lavoro, come possiamo sperare che generazioni diverse, che si ritrovano a convivere nello stesso ufficio, possano produrre qualcosa di buono insieme? Cerchiamo di guardare il quadro da un angolo prospettico più ampio: in America, ci sono molte aziende che, stando a quanto denunciato da osservatori particolarmente attenti, discriminano più per l’età che per il genere o la razza. Succede perché i continui avanzamenti in ambito tecnologico marcano una distanza sempre più profonda tra i cosiddetti “nativi digitali” (coloro che sono nati e cresciuti con le nuove tecnologie informatiche) e coloro che, durante l’adolescenza, raggiungevano la cabina a gettoni più vicina a casa per parlare con la fidanzatina del tempo. E che adesso vengono percepiti come lavoratori “superati” e improduttivi, incapaci di sfruttare appieno i nuovi mezzi e i dispositivi messi a loro disposizione. Ma è davvero così?

In un recente intervento pubblicato sul blog dell’Harvard Business Review, l’autore di bestseller, Chip Conley, ha fatto notare che la coabitazione di anziani e giovani in un ambiente di lavoro può produrre risultati gratificanti per tutti. I giovani sono dotati di intelligenza digitale, mentre i meno giovani di intelligenza emotiva: quando riescono a confrontarsi serenamente, mettendo in condivisione le loro specifiche competenze e superando le barriere poste dalle reciproche forme di discriminazione (i giovani pensano che gli anziani fatichino a incamerare le novità mentre i più agé pensano dei loro colleghi trentenni che siano spocchiosi e inesperti), possono dare vita a progetti davvero interessanti. “C’è una generazione di vecchi lavoratori – ha evidenziato Conley – con un bagaglio esperenziale enorme, conoscenze specialistiche e un’impareggiabile attitudine ad insegnare che può fare il paio con le ambizioni dei Millenials e contribuire a creare imprese destinate a durare nel tempo”. 

Come vengono percepiti i lavoratori anziani

Ma per centrare l’obiettivo, occorre vincere i pregiudizi e combattere la discriminazione nei confronti degli anziani che vengono spesso sottostimati dai loro colleghi più giovani. Per essere più chiari, i lavoratori anziani sono solitamente percepiti come:

  • meno motivati;
  • meno interessati a crescere e ad aggiornarsi;
  • più resistenti al cambiamento;
  • meno affidabili;
  • meno sani
  • meno capaci di gestire il lavoro e la vita privata

Si tratta, in massima parte, di luoghi comuni non confortati da prove tangibili o, se si preferisce, di veri e propri pregiudizi destinati a perpetuare l’immagine (distorta) del dipendente attempato che smette di essere una risorsa per diventare un peso. Inutile precisare che non è così. E che, come ogni generalizzazione, anche questa va contrastata e confutata coi fatti. Essere anziano non vuol dire perdere la voglia di fare bene il proprio lavoro, anzi: l’esperienza e il livello di maturità raggiunto possono spianare la strada a successi sempre più grandi. A condizione che ci si ponga nel giusto modo nei confronti del mondo che cambia e che si eviti di barricarsi dietro rigidità che rischiano di mandare fatalmente in tilt l’organizzazione dell’intera azienda. Per combattere la discriminazione nei confronti degli anziani al lavoro, occorre che questi ultimi si confrontino sinergicamente con le “giovani leve” alle quali possono trasmettere insegnamenti preziosi e dalle quali anche loro possono imparare tanto.

Spazio all’anziano moderno

Accantoniamo lo stereotipo del dipendente “veterano” che ha perso ogni slancio per quello che fa e facciamo largo al cosiddetto “anziano moderno” che – come precisa Chip Conley – nonostante l’incedere del tempo, conserva l’entusiasmo dei primi giorni e dimostra di saper coniugare l’esperienza e la saggezza accumulate negli anni con la curiosità e l’apertura mentale dell’esordiente. Invecchiare può essere difficile perché costringe a fare i conti con cambiamenti che possono metterci seriamente in crisi, ma se ci saremo impegnati a mantenere sempre allenato il nostro cervello, le cose dovrebbero andare per il verso giusto. Avere i capelli grigi non vuol dire avere la verità in tasca: manteniamo viva la voglia di imparare (da tutti, anche dai più giovani) e continuiamo a metterci in gioco perché, come diceva Jean Cocteau: “Si può nascere vecchi e si può morire giovani”. Anche al lavoro.

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