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Età dell’assunzione: non può essere motivo di discriminazione contrattuale (sentenza di Cassazione)

L’età dell’assunzione non può essere un elemento discriminatorio nei contratti di lavoro e, soprattutto, se l’età è utilizzata come un pretesto per attribuire a un giovane dipendente una forma contrattuale maggiormente pregiudizievole rispetto a un contratto di lavoro ordinario.

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La Corte di Cassazione si è infatti espressa positivamente sul ricorso di un giovane dipendente di una nota catena operante nel settore di abbigliamento, che lamentava l’assunzione con contratto di lavoro a chiamata a tempo determinato, per il solo fatto che avesse meno di 25 anni.

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In particolare, il dipendente era stato assunto nel 2010 con un contratto di lavoro a chiamata a tempo determinato (poi trasformato a tempo indeterminato), ed era stato successivamente oggetto all’interruzione della relazione professionale a causa del compimento dei 25 anni di età.

A questo punto il lavoratore aveva avanzato ricorso dinanzi al Tribunale del Lavoro di Milano, segnalando la natura discriminatoria del comportamento della società, e domandando quindi al Tribunale di dichiarare la sussistenza di un regolare e ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato tre lui e l’azienda.

In primo grado, le lamentele del lavoratore non avevano trovato accoglimento, mentre la Corte di Appello di Milano ha accolto il ricorso, ordinando al datore di lavoro di riammettere il dipendente nel proprio posto di lavoro, e corrispondendogli 15 mila euro a titolo di risarcimento del danno. In sintesi, secondo i giudici il solo requisito dell’età anagrafica non può giustificare l’assunzione di un lavoratore con un contratto di lavoro che è più penalizzate per le condizioni che lo regolano (quale, appunto, il contratto di lavoro a chiamata), rispetto a un ordinario contratto a tempo indeterminato.
Discriminazione contrattuale: l’ispirazione comunitaria

In particolare, citando provvedimenti di natura comunitaria, la sentenza in oggetto sottolinea come “il divieto di discriminazione, in quanto specificazione di un principio di eguaglianza che esiste indipendentemente dalle direttive, vive di una vita propria, che prescinde dai comportamenti attuativi o omissivi degli Stati membri, e prescinde anche dall’assetto presente e futuro delle competenze. Dalla natura precisa e incondizionata di tale principio, discende la conseguenza che anche le specificazioni del principio stesso possono spiegare i propri effetti su tutti i consociati ed essere dunque invocate dai privati verso lo Stato e dai privati verso altri privati”.

Ancora, la pronuncia dei giudizi ricorda che “la Corte di Giustizia ha infine evidenziato come l’art. 6 della direttiva 2000/78 imponga, per rendere accettabile un trattamento differenziato sulla base dell’età, due precisi requisiti dettati dalla finalità legittima e dalla proporzionalità e necessità dei mezzi utilizzati per il perseguimento degli obiettivi, principi peraltro richiamati anche dall’art. 4 ter D. Lgs 216/03 attuativo della direttiva in questione. Detti requisiti tuttavia non appaiono rinvenibili nella disciplina predisposta dal legislatore nazionale il quale si è limitato a introdurre un trattamento differenziato che trova fondamento esclusivamente sull’età senza alcuna altra specificazione non avendo richiamato alcuna ulteriore condizione soggettiva del lavoratore (disoccupazione protratta da un certo tempo o assenza di formazione professionale per esempio) e non avendo esplicitamente finalizzato tale scelta ad alcun obiettivo individuabile”.

Ancora, si aggiunge, “né possono valere in tale contesto mere valutazioni o interpretazioni personali circa la probabile o possibile intenzione del legislatore di voler agevolare l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Il mero requisito dell’età pertanto non può giustificare l’applicazione di un contratto pacificamente più pregiudizievole, per le condizioni che lo regolano, di un ordinario contratto a tempo indeterminato e la discriminazione che si determina rispetto a coloro che hanno superato di 25 anni non trova alcuna ragionevole ed obiettiva motivazione. Analogamente nessuna ragionevole giustificazione è ravvisabile nel fatto che, per il solo compimento del 25°anno, il contratto debba essere risolto”.

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