C’è chi procede con vere e proprie investigazioni atte a verificare la veridicità di quanto dichiarato. Barare non paga, anzi può costare caro
Alzi la mano chi non ha pensato, almeno una volta, di falsificare il curriculum. Magari solo per qualche dettaglio. L’abilità di “abbellire” la narrazione – fino a spingerla ai limiti della manipolazione – è unanimemente riconosciuta agli italiani. Che spesso non faticano a fornire una versione “diversamente vera” dei fatti. Ma attenzione: riportando il ragionamento all’ambito lavorativo, ci sono delle precisazioni da fare. Inserire informazioni false sul curriculum, solo perché spinti dalla smania di ottenere il lavoro, può essere una mossa più che azzardata. Che può procurare problemi molto seri. Ecco perché occorre muoversi con cautela e trasparenza, abbandonando l’idea di spacciarsi per quello che non si è. I recruiter più navigati – che hanno tante frecce al loro arco – sanno smascherare benissimo i “Pinocchio” del cv. Non metteteli alla prova.
Le bugie dei candidati
Secondo alcuni sondaggi, quella di alterare le informazioni inserite nel curriculum è un’abitudine abbastanza ricorrente. C’è chi riferisce di esperienze lavorative mai svolte e chi si attribuisce titoli mai conseguiti. Chi manomette le date per celare buchi nel CV e chi – più banalmente – si ritrova a barare sulle competenze informatiche e sulla conoscenza delle lingue straniere. C’è poi chi si spinge a mentire sulla laurea, dichiarando di aver discusso la tesi ed avendo dato invece magari solo pochi esami.
Alcune bugie sul CV sembrerebbero “peccatucci” di poco conto; “marachelle” su cui è possibile soprassedere. Ma è davvero così? Assolutamente no. Candidarsi a un’offerta di lavoro non significa truccare le carte. Anzi: quando veniamo convocati per un colloquio, dobbiamo sforzarci di essere i più sinceri e trasparenti possibile. E puntare esclusivamente sulle nostre qualità. Anche perché chi ci sta di fronte è solitamente in grado di captare i segnali, a distanza di sicurezza.
Mentire sul proprio curriculum è una perdita di tempo – ha tagliato corto un esperto nella selezione del personale – I candidati che esagerano, o nascondono, le proprie esperienze lavorative corrono un rischio enorme: se smascherati rischiano, infatti, di rovinare non solo il singolo colloquio, ma di macchiare indelebilmente la propria reputazione di fronte ai responsabili della selezione.
Le indagini dei selezionatori
E c’è di più: i recruiter più scafati, che vogliono essere certi delle scelte che si apprestano a fare, non disdegnano di procedere con vere e proprie indagini. Gli americani la chiamano “Employment History Verification” ed altro non è se non una verifica atta a confermare (o smentire) ciò che il candidato ha raccontato di sé sia sul curriculum che in sede di colloquio. Va in realtà precisato che questa linea investigativa viene adottata solo in rari casi.
Quando le posizioni in ballo sono particolarmente prestigiose e il selezionatore non può permettersi di fare un “buco nell’acqua”. E’ in questo caso che inizia solitamente a investigare sulle esperienze lavorative pregresse del candidato. Come? Contattando i manager delle aziende per le quali ha lavorato negli anni passati, ai quali chiede conferme sui suoi titoli, sulle mansioni svolte, sulle abilità dimostrate, sull’etica professionale, sugli obiettivi raggiunti e sulla paga intascata. E non mancano i casi in cui il recruiter chiede di avere delucidazioni anche sui motivi che hanno portato all’allontanamento dall’azienda. Alla base di tanta “curiosità”, la necessità di trovare la persona giusta, della quale i selezionatori vogliono sapere pressoché tutto. Dal punto di vista squisitamente lavorativo.
Cosa si rischia
Falsificare il curriculum non è, insomma, un’idea da prendere in considerazione. Anche perché le conseguenze potrebbero essere quanto mai pesanti. Prendiamo il caso di una candidatura a un concorso pubblico, che implica l’osservanza di tutte una serie di norme. Dichiarare il falso sul cv potrebbe (naturalmente nei casi più gravi) portare a commettere un reato penale.
Non rischia il penale, invece, il mendace dipendente privato che, però, farebbe meglio a cambiare condotta. Perché il recruiter che dovesse snudare le discrepanze tra ciò che ha scritto sul curriculum e ciò che effettivamente è non perderebbe un solo istante a metterlo alla porta e a segnalarlo (negativamente) ai colleghi. Mentre nel caso in cui il contratto fosse già stato firmato, il datore di lavoro potrebbe disporre il licenziamento in tronco del “Pinocchio” di turno e intentare una causa contro di lui, con tanto di richiesta di risarcimento e di restituzione degli stipendi. Le bugie hanno le gambe corte e possono anche prosciugare i portafogli. Meditate gente meditate.
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