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Lavorare nel digital marketing: intervista a Diego Mulfari

Diego Mulfari, “figlio del primo imbianchino 2.0”. Ha lasciato il suo lavoro da dipendente per salvare l’azienda di suo padre e realizzare il suo sogno: lavorare nel digital marketing.

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Diego Mulfari, freelance in digital marketing e “artigiano del web”, come si autodefinisce, qualche anno fa è finito su tutti i giornali ed è ora conosciuto come il “figlio del primo imbianchino 2.0” (su Urban Post potete leggere la sua storia). Ha lasciato un lavoro da dipendente per aiutare l’azienda di suo padre caduta in difficoltà. L’ha risollevata digitalizzandola e contemporaneamente ha trasformato la sua passione in un’attività a tempo pieno. A Bianco Lavoro Magazine ha raccontato che cosa fa ora, elargendo utili consigli su come gestire una piccola azienda sul web e come è arrivato a farlo, migrando da dipendente ad autonomo attraverso piccoli passaggi graduali e molto mirati. Il suo segreto può essere riassunto in due parole: professionalità e motivazione. Ecco cosa ci ha detto.

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image by Rawpixel

Hai lasciato il tuo lavoro per aiutare tuo padre o era già una tua intenzione?
In realtà ho avuto l’intuizione già nel 2010, quando lavoravo da dipendente in un ufficio marketing subito dopo l’università. Ho iniziato a scoprire il mondo di Google, di Adwords, ho capito che c’era un mercato da intercettare per quanto riguarda la ditta di mio padre. Ho visto che ogni mese c’era una ricerca organica per quanto riguarda “imbiancatura”, “imbiancatura milano” etc.. e quindi ho detto, perché non provare a posizionarci con un sito o un blog?

Cosa facevi di lavoro precisamente? E che formazione hai?
Lavoravo in un ufficio di digital marketing dal 2010-2011, quindi realizzavo siti web, iniziavo a scoprire la SEO (Search Engine Optimization, ovvero, in parole povere, tutte quelle pratiche che permettono un migliore posizionamento di un sito web sui motori di ricerca, Nda), campagne pubblicitarie, insomma facevo web marketing a 360 gradi. Ho una laurea in comunicazione ed editoria multimediale alla Statale di Bergamo. Poi sono appassionato di marketing, quindi tanta formazione anche da autodidatta. Ho fatto dei corsi con la Regione Lombardia e uno intensivo con la Camera di Commercio di Monza.

Quanto conta la comunicazione web per una piccola azienda? E come funziona, dov’è che si va ad agire?
Il sito web è la vetrina, però da solo non basta. Bisogna indicizzarsi per le parole chiave strategiche. Se io voglio posizionarmi con la parola chiave “imbianchino milano” nei primi cinque risultati organici di Google non mi basta avere il sito, bisogna avere un blog, piuttosto che dei link esterni da fonti autorevoli verso lo stesso blog. E’ un falso mito quello di potersi posizionare e trovare clienti solo con un sito vetrina.

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E’ una comunicazione che va curata da un professionista o chiunque può riuscire a gestirla?
Io consiglio, soprattutto in fase di startup di affidarsi sicuramente ad un professionista. Te lo dico per esperienza. I primi passi per digitalizzare un’azienda sono il sito, la presenza sui social, tutte cose che vanno gestite da un esperto, perché altrimenti si rischia di perdere un sacco di tempo e buttare via soldi. Campagne pubblicitarie non performanti, un sito con un’architettura informativa anch’essa non performante. In una fase due invece si possono aggiornare autonomamente i contenuti, come ad esempio quelli della pagina facebook o i post sul blog. Parallelamente (nella fase due) quando è possibile è meglio esporsi: per quanto riguarda i lavori artigianali è comunque “meglio esserci”. Di solito spingo per colmare il digital divide e attrezzarsi per essere presenti nel mondo dell’online. Come dire, è meglio mettere una foto che non sia superprofessionale che non metterla, soprattutto con i budget di adesso che sono magari anche limitati. E’ insomma un lavoro di taglia e cuci continuo.

Quali sono i pericoli? Che danni può fare ad un’azienda una comunicazione web sbagliata?
Può fare dei bei danni. Ad esempio se si fa polemica su qualcosa. Poi c’è il problema della grafica e quello dell’usabilità, che secondo me sono entrambi fondamentali. Se un sito web viene fatto in flash con mille banner che si accendono… con un’informazione che non si capisce come viene gestita, quindi che disorienta l’utente… si gioca tutto nei primi 8 secondi: nel momento in cui io “atterro” sul sito, al momento in cui me ne vado se non trovo quello che cerco, passano 8 secondi, bisogna essere pronti a ricevere il cliente in modo organizzato, e stupirlo, esattamente come avviene in un negozio.

Parliamo un po’ del tuo lavoro. Sei passato da dipendente a freelance, che cosa cambia? Fai le stesse cose o hai dovuto rivedere la tua attività?
Penso che ci sia un cambio di paradigma, e una diversa concezione del lavoro. Per passare da dipendente a a lavoratore autonomo bisogna prima di tutto abbattere alcune resistenze, bisogna avere la gestione della paura e quella del cambiamento. Siamo stati abituati fin da piccoli a stare dietro un banco a scuola, a non esporci troppo, a limitare la nostra creatività e la voglia di fare, quindi: prima di tutto un lavoro psicologico, una crescita personale ad esempio attraverso i libri, che a me personalmente hanno aiutato tantissimo.

Quali sono state le paure più grandi che hai avuto?
Io non ne ho avute tantissime, perché il mio passaggio è stato graduale, cosa che consiglio assolutamente. Mentre lavoravo da dipendente studiavo e lavoravo al mio progetto. Mi ero costruito un piano B, studiavo quando tornavo a casa o in pausa pranzo, o ancora nel weekend. Si inizia a testare una cosa, poi un’altra e si va avanti così fino a quando si giunge al passaggio definitivo, ma appunto in maniera graduale, sostenibile.

Com’è la gestione dell’attività? Ad esempio, lavori anche di sera? E farlo, serve?
Beh ovviamente la rete non chiude, ho provato a rispondere a richieste di preventivo a Natale, a Pasqua, di notte. Nel momento in cui c’è una richiesta di preventivo ovviamente bisogna rispondere tempestivamente, altrimenti chi ha scritto lo chiede a qualcun altro e addio cliente.

Da qualche anno a causa della crisi chi perde il lavoro da dipendente spesso apre un’attività per cercare di sbarcare il lunario, questa cosa secondo te possono farla tutti o bisogna essere, per così dire, portati?
Guarda, bisogna essere… un pochino ambiziosi, avere voglia di esprimersi. Io spesso mi trovavo in aziende chiuse al nuovo, non riuscivo a realizzare i miei progetti, quindi la mia energia l’ho messa in questo progetto qui. In questo, la cosa bella era studiare un concetto su un libro e applicarlo praticamente in tempo reale all’attività e poi vedere cosa cambiava, cosa migliorava e cosa peggiorava. Era fantastico perché vedevo il mio progetto crescere nelle mie mani giorno per giorno come se fosse un figlio.

Ma è un’attitudine “innata”, o la si può costruire nel mentre?
Guarda io l’ho capito durante. Uscito dall’università ovviamente non avevo tutte le competenze che ho adesso, sia emotive che tecniche. Strada facendo lo capisci, io odiavo tornare a casa dopo 8 ore di lavoro e non avere quella soddisfazione personale che va oltre quella monetaria. Molte persone non ci provano perché lasciare il lavoro… non hai più lo stipendio… comprensibile eh, però io sono sempre stato uno curioso. Ho avuto un’intuizione e strada facendo ho conosciuto tante persone online che mi hanno dato una mano sia dal punto di vista motivazionale che da quello tecnico. E’ stato bellissimo perché è stato uno scambio continuo, una condivisionecostante, un percorso di crescita sia personale che professionale. Deve esserci un pochino dentro la voglia di esprimersi, poi tutto il resto viene di conseguenza. Un aneddoto: un pomeriggio ero su in camera e mia madre mi ha detto: “ma perché non provi a mandare un comunicato stampa al giornale di Carate (Carate Brianza, Nda quotidiano locale della Brianza). Io con la vecchia mentalità risposi: “ma va, ma figurati se su un giornale mi possono calcolare”. “Col senno di poi…” ho fatto interviste a giornali sempre più grandi.

Che errori si possono fare nel passaggio da dipendente ad autonomo?
All’inizio Il mio errore è stato sicuramente quello di essere stato troppo pessimista nella diffusione del lavoro. Tanta voglia di fare, ma con la mentalità di non volersi esporre. Uno fa benissimo la prima parte, quella tecnica, ma poi non lo sa nessuno. Se non si ha l’intelligenza emotiva che permette di parlare in pubblico, di portare un progetto online, farlo conoscere, si rischia di fare un grandissimo lavoro e poi rimanere dietro le quinte. Col senno di poi mi sarei giocato le mie carte con più anticipo.

Consigli: cosa diresti a chi vuol fare digital marketing da autonomo?
Consiglierei prima di tutto di leggere tantissimo. Tutorial blog, quindi documentazione e materiale online, ma soprattutto libri con informazioni molto fruibili. Bisogna frequentare le biblioteche, leggere fonti autorevoli. Poi, essere costanti, sviluppare l’abilità della perseveranza e della resilienza. E credere nei propri sogni, può essere come è successo a me che diventino realtà. Ovviamente c’è tutto un processo dietro, non è questione di fortuna, sono la costanza e la perseveranza che, unite alla professionalità, portano al successo.

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