Le differenze che intercorrono tra uomini e donne sono innegabili, ma non sempre si manifestano allo stesso modo. Ecco perché segnare una linea che separa nettamente la dimensione maschile da quella femminile appare un’operazione opinabile. Destinata a restituire solo uno spaccato parziale della realtà. Anche in ambito lavorativo, le cose andrebbero indagate con più attenzione. Ci sono uomini che hanno scelto di svolgere mansioni considerate tradizionalmente femminili e donne che, viceversa, hanno finito per fare un lavoro da “macho”. Senza, per questo, rinunciare alla loro identità sessuale che – è bene precisarlo sin da ora – non può essere tarata in base al tipo di mestiere che si sceglie di fare. Parlare di lavori da donne e da uomini ha ancora senso? Cerchiamo di capirlo insieme.
Lasciamo a casa l’ipocrisia e proviamo ad essere onesti: vedere una donna manovrare una gru in un cantiere o guidare una vettura della metropolitana ci suscita ancora qualche stupore. Così come osservare un uomo impegnato a portare al parco i cani di qualcun’altro o pagato per fare la spesa al supermercato. Il tempo ha sedimentato stereotipi e pregiudizi rocciosi, che inducono anche i più giovani ad osservare e leggere in maniera sommaria, schematica e superficiale la realtà complessa che ci circonda. E ad accettare con fatica ciò che sfugge alla facile categorizzazione. L’università di Genova ha avviato un laboratorio di sociologia visuale intitolato “Donna Faber” teso a indagare sul sessismo e sulla discriminazione di genere nel lavoro. Al centro dello studio, un gruppo di lavoratrici “atipiche”, che hanno scelto di rompere gli schemi svolgendo un mestiere “da duri”. Con quali conseguenze? “Le statistiche indicano che qualcosa sta cambiando – ha spiegato la sociologa Emanuela Abbatecola – ma quando una donna svolge una professione tradizionalmente definita ‘da uomo’, il sessismo riemerge come per ridimensionare l’ordine violato”.
Per essere più precisi, la ricerca ha rilevato che quando è l’uomo a “trasgredire” nel lavoro, la discriminazione è quasi sempre solo iniziale. Mentre per la donna, la situazione risulta essere più complicata perché il pregiudizio iniziale tende a persistere a lungo fino a trasformarsi in una vera e propria forma di “invalidazione”. Cosa vuol dire? Che le donne che fanno lavori “da uomini” vengono molto spesso demansionate e trattate in maniera differente rispetto ai loro colleghi, pur disponendo delle stesse competenze. Non solo: le lavoratrici coinvolte nell’indagine (tra cui guardie giurate, minatrici, tipografe, camioniste, operaie, agenti di polizia penitenziaria, ma anche maestre d’orchestra e speleologhe) hanno riferito delle violenze (fisiche e verbali) che hanno spesso dovuto subire. E che le hanno portate a mortificare la loro femminilità. O a modificare il loro modo di essere. “Ci sono donne che finiscono per parlare come gli uomini – ha raccontato una di loro – Avendolo fatto anch’io, riconosco che non è un atteggiamento insito, vedi gli uomini che fanno così, che dicono parolacce ed alzano la voce, e diventi più uomo di loro. Fai così per essere accettata: devi rientrare in un cliché e ti trasformi in una donna mascolina e aggressiva”.
E gli uomini, come se la passano? Anche loro devono fare i conti con pregiudizi difficili da scardinare? La loro condizione risulta essere tendenzialmente più agevole rispetto a quella delle donne. Quando un uomo viene pagato per fare un lavoro considerato tipicamente femminile deve (solitamente) vedersela con una resistenza iniziale. Ma a lungo andare, il pregiudizio frettoloso cede – quasi sempre – il passo alla piena accettazione. Di più: ci sono donne separate che preferiscono affidare i loro figli alle cure di un bravo baby sitter che può colmare (almeno in parte) l’assenza della figura paterna. Le situazioni sono, però, tante e diverse. Fare il badante, il domestico, il dog sitter, il baby sitter, il segretario, ma anche l’insegnante (soprattutto nelle scuole elementari) o l’infermiere espone ancora troppi uomini al rischio di essere tacciati di scarsa mascolinità. E di essere fatti oggetto di battute sessiste. Di contro, certe trasmissioni televisive di successo hanno finito per sdoganare il luogo comune secondo il quale, dietro i fornelli, è concepibile che ci stia solo la donna.
Le resistenze legate ai pregiudizi ed ai luoghi comuni – che si originano dalla difficoltà di mettere in discussione certi schemi precostituiti – persistono comunque ancora oggi. Ecco perché alcuni uomini hanno scelto di unire le loro forze, nel tentativo di contribuire alla crescita culturale del Paese, che passa anche dall’abbattimento della discriminazione di genere nel lavoro. Tra tutte, l’Associazione Uomini Casalinghi che sostiene con forza l’idea secondo cui un uomo che sceglie di dedicarsi alla cura della casa e della famiglia non perde, per questo, il suo prestigio sociale. E dice, con altrettanto fermezza, che la presunta mascolinità non può essere parametrata in base al salario percepito. “Nel 2003, quando ho fondato l’associazione – ha raccontato il presidente, Fiorenzo Bresciani – eravamo in cinque, ora vantiamo più di seimila iscritti. Siamo una realtà importante, ma il modo in cui le persone immaginano l’uomo casalingo non è cambiata di molto”. I pregiudizi, insomma, sono duri a morire.
Cerchi un nuovo lavoro?
Per avere sempre offerte di lavoro reali e verificate nella tua casella email in linea con le tue esigenze: Registrati su Euspert Bianco Lavoro