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Per la residenza fiscale occorre guardare al luogo di lavoro

La Corte di Cassazione si pronuncia su un caso di accertamento della residenza fiscale, sentenziando che per stabilirla occorre guardare al luogo di lavoro.

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La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria è tornata ad occuparsi di una materia spinosa. Con la recente pronuncia n. 6501 del 31 marzo ha sancito che per accertare la residenza fiscale di un soggetto, il primo dato da analizzare deve essere il luogo di lavoro. Ma vediamo la vicenda sottoposta al vaglio dei giudici di Piazza Cavour.

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Residenza fiscale: il caso in Cassazione

L’Agenzia delle entrate lamentava un mancato versamento dell’Irpef da parte di un contribuente trasferitosi in Svizzera e iscritto all’Aire (Anagrafe Italiani Residenti all’estero) da molti anni, ritenendolo ancora residente in Italia. In primo grado però le pretese dell’erario non trovavano accoglimento e così l’Agenzia delle entrate portava la vicenda davanti alla Commissione Tributaria Regionale contestando la decisione. Secondo l’Agenzia infatti i cittadini italiani, anche se cancellati dall’anagrafe della popolazione residente, qualora si trasferiscano in Stati con regimi di fiscalità privilegiata, si presumono residenti in Italia fino a prova contraria, secondo l’art. 2, comma 2bis, del TUIR (Testo Unico delle imposte sui redditi).

Ma il cittadino elvetico, avendo provato di essere un lavoratore dipendente per otto ore giornaliere in un’azienda nel paese d’oltralpe, vedeva accogliere le sue ragioni anche in secondo grado. La controversia giungeva così sino in Cassazione. Qui gli Ermellini hanno dato ragione al contribuente, precisando che, contrariamente a quanto sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, “le relazioni affettive e familiari non hanno una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale, venendo in rilievo solo unitamente ad altri probanti criteri che univocamente attestino il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento”.

Per verificare l’effettivo luogo di residenza fiscale di una persona fisica, lo sguardo prioritario, secondo la sentenza, deve essere rivolto al luogo del lavoro e a quello in cui vengono gestiti gli “interessi vitali”, in maniera riconoscibile anche da terzi. Va precisato che in ogni caso l’importanza della sede di esercizio dell’attività andrà valutata di volta in volta, a seconda delle varie vicende coinvolte. Dalla recente sentenza emerge la diversa considerazione di un’attività professionale o imprenditoriale rispetto, ad esempio, alla sola gestione di proprietà, come nel caso del cittadino svizzero, il quale risultava intestatario in Italia di un solo immobile locato e adibito ad archivio.

Cosa cambia per provare la residenza fiscale

La pronuncia è interessante poiché spesso i soggetti trasferiti all’estero subiscono accertamenti fiscali basati soltanto sui vincoli di parentela rimasti in Italia. Se il principio elaborato dalla sentenza n. 6501 si consolidasse, in tutti questi casi il contribuente potrebbe limitarsi a dimostrare di lavorare all’estero e non sarebbe obbligato a portare davanti ai Giudici le trame dei rapporti familiari e personali. Ma in questo senso la strada è tutta in salita poiché la decisione rappresenta una novità. Contrasta infatti con quanto in passato ribadito anche dalla stessa Corte di Cassazione e ormai consolidato a livello europeo. La Corte di Giustizia da tempo afferma che per accertare il luogo della residenza di un soggetto, devono essere prese in considerazione sia le relazioni professionali e personali dell’interessato in un posto determinato, sia la loro durata, e, qualora tali relazioni siano intrattenute in più Stati membri, secondo quanto previsto dall’art. 7, n. 1, comma 2, della direttiva 83/182/CEE, i legami familiari e personali saranno determinanti.

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