Di recente, in relazione alla composizione dei ministri del nuovo Governo, si sono alzate proteste per non aver rispettato le c.d. quote rosa, ovvero per non aver inserito un numero sufficiente di donne nell’esecutivo. E siamo nel 2021, con una pandemia in corso. Se me lo avessero raccontato qualche decennio fa, avrei stentato a credere a queste notizie: avrei stentato sia a credere alla condizione dettata dalla pandemia, sia, parimenti, a credere che l’argomento delle quote rosa fosse ancora in auge.
Le Quote Rosa
A parere di chi scrive, le quote rosa rappresentano un anacronismo, un non senso temporale, una previsione addirittura ai limiti della costituzionalità, perché concede un vantaggio (non giustificato) in taluni settori della pubblica amministrazione, nella politica e nelle società quotate, in forza della sola appartenenza ad un genere. Il punto, però, è che trovo il concetto prima ancora discriminatorio e offensivo per il genere femminile, laddove passa in secondo piano il fatto che una donna possa essere più brava di un uomo (cosa normalissima ed anzi maggioritaria, forse), riconoscendo il suo diritto ad ottenere qualcosa solo e soltanto per questione di genere; con ciò, implicitamente riconoscendo (in maniera assurda) che il genere (donna) sia uno svantaggio a cui porre ammenda e compensazione.
La legge del 2011 numero 120 ha disciplinato le quote rosa, concedendo la possibilità alle donne di partecipare attivamente alla vita politica e sociale, sul presupposto che prima ne fossero escluse o, quantomeno, che la loro presenza non fosse abbastanza cospicua. Ma riservare un certo numero di posti nei consigli di amministrazione, così come nelle candidature, ad una “minoranza” (riconoscendola come tale) implicherebbe quantomeno la necessità di riservare dei posti per tutte le altre minoranze, parimenti meritorie di compensazioni. Di contro, riservare un minimo di seggi a dei candidati solo per il loro genere, diventa essa stessa una forma di discriminazione, finisce per prescindere dal merito e dalla capacità effettiva delle persone stesse (offendendole, di fatto).
Il punto di vista giuridico
Da un punto di vista giuridico, poi, riservare quote ad una persona per il sol fatto di essere “donna” suscita qualche dubbio costituzionale. Intendiamoci, la questione va contestualizzata e soprattutto attualizzata. Sarebbe ignobile dimenticare quanto la figura femminile sia stata, nella storia, discriminata rispetto all’uomo. Ma ciò, si ripete, fa parte del passato, la situazione attuale è completamente ribaltata (per fortuna, aggiungerei). In quale casa, mi chiedo, non è la donna a prevalere (ironicamente parlando). E chi c’è a capo della più grande potenza Europea? O forse la Merkel è stata messa lì per le quote rosa?
Stesso discorso potrebbe farsi per innumerevoli figure femminili che detengono e amministrano il potere, più (e meglio) degli uomini. Senza andare troppo lontano, troviamo esempi di donne che, per la loro competenza, capacità e carisma, sono ai vertici di enti pubblici e di organismi politici nazionali ed europei o che hanno cambiato l’umanità (mi viene in mente una certa, italianissima Rita Levi Montalcini).
Da quando le donne sono state ammesse nell’ elettorato attivo, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, è stata sancita una doverosa eguaglianza, così come recita l’articolo 3 della Costituzione. Qualunque provvedimento normativo in tal senso rappresenta, a mio avviso, una inutile duplicazione.
Le polemiche sulle nomine governative
Ma le donne stesse, per prime, tendono a rifiutare questo privilegio, questa tutela che, a ben vedere, va a loro discapito, le sminuisce e le mortifica, ponendo in secondo piano i loro meriti, “scavalcati” dalla mera appartenenza di genere. A tal proposito, voglio citare le parole di un’esponente del mondo femminile, la professoressa Fiorella Kostoris, economista ed insegnante presso il Collegio d’Europa di Bruges : “Se si riuscisse a imporre la meritocrazia non ci sarebbe bisogno di alcuna quota perché la struttura e la distribuzione dei talenti nella popolazione femminile è uguale a quella delle popolazione maschile. Ed è pertanto naturale che il 51esimo uomo sia meno produttivo della 49esima donna. Insomma, con la meritocrazia arriveremmo ad avere un 50 e 50”.
In altri termini, l’imposizione delle quote rosa si pone in contrasto con la meritocrazia, la disincentiva. Ed è quest’ultima che andrebbe professata ed integrata per ricoprire le più alte cariche e funzioni. La tutela, semmai, va rivolta a categorie che siano veramente più deboli e indifese quali minori e disabili, oggettivamente svantaggiati rispetto alla persona comune (per quanto anch’essi abbiano capacità e risorse che eccedono il comune, ma questa è un’altra storia).
La recente polemica sulle nomine governative si pone in questa scia, vive di retaggi del passato che non aiutano il Paese a progredire. Mi sorprenderebbe, piacevolmente, sentire una polemica sulla mancata nomina di una donna che si sia distinta per particolari meriti o capacità riconosciute, e non per la mera appartenenza di genere e/o per il dover raggiungere una certa percentuale di presenza femminile in una certa organizzazione. Ma per questo, forse, è ancora presto.
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