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Reintegro sul posto di lavoro se non c’è condotta illecita

Il giudice dispone il reintegro di un lavoratore in azienda perchè il suo licenziamento non era stato supportato da una condotta illecita.

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La Cassazione, con sentenza 18418/2016, si è espressa ancora sul tema del licenziamento disciplinare, sottolineando come il reintegro sul posto di lavoro del dipendente licenziato non debba essere esclusa per il solo fatto che il comportamento oggetto di contestazione si è effettivamente realizzato. Si rende in altri termini necessario verificare, al di là del un giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità della condotta oggetto di addebito disciplinare, che il fatto posto in essere dal lavoratore non sia privo del carattere di illiceità.

licenziatoNel dettaglio, nel caso affrontato dai giudici della Suprema Corte, il licenziamento era stato determinato dal presupposto che il lavoratore avesse tenuto un comportamento non educato con il personale che il dipendete stesso aveva il compito di formare, rifiutando poi di rinegoziare il c.d. “superminimo” con l’impresa, e infine contestando a quest’ultima di essere stato esposto a pratiche di demansionamento.

Nei primi due gradi di giudizio il licenziamento era stato ritenuto illegittimo e il lavoratore era stato dunque reintegrato in servizio. L’impresa ha quindi proposto ricorso in Cassazione, nella valutazione che, una volta dimostrata l’effettiva sussistenza dei fatti contestati, sarebbe poi stata riconosciuta al dipendente unicamente la tutela risarcitoria, ma non il reintegro.

Ebbene, nel suo grado di giudizio la Cassazione ha fermamente respinto tale valutazione, affermando che quanto previsto dall’articolo 18, comma 4, dello Statuto dei lavoratori, si riferisce alla “insussistenza del fatto” nella propria dimensione materiale e non include invece il giudizio di merito sulla portata disciplinare degli stessi che, nella fattispecie, sono stati giudicati come privi di rilievo disciplinare, senza poter così dar luogo a una forma di illecito sanzionabile sul piano disciplinare.

Nelle sue conclusioni, i giudici della Suprema Corte ricordano infine che il comportamento accertato ma privo di una consistente antigiuridica concreta non può “relegato” a una valutazione di proporzionalità, poiché altrimenti si finirebbe con ammettere che ricade nella sola tutela indennitaria un licenziamento basato su fatti che, pur esistenti, sono privi di rilievo disciplinare.

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