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Spostarsi per lavoro: quanti italiani lo fanno?

Secondo un recente studio, gli italiani che si trasferiscono all’estero, per motivi di lavoro, sono sempre di più. La Germania resta la meta preferita, ma anche l’Inghilterra va forte. E più ci si allontana da casa…..

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Si chiama “Il lavoro dove c’è” l’ultimo rapporto confezionato dall’Osservatorio statistico dei Consulenti del Lavoro. Che ha scattato una fotografia dettagliata degli spostamenti degli italiani strettamente legati ad esigenze professionali. In pratica: in tempi di “magra” come i nostri, nessuno può permettersi di rimanere con le mani in mano, ad attendere una proposta che potrebbe non arrivare mai. E in molti scelgono di allontanarsi da casa, per destinazioni più o meno lontane. Per un numero crescente di connazionali, spostarsi per lavoro è diventata un’esigenza. Ma dove vanno? E cosa li spinge – oltre alla necessità di sfamare se stessi e la loro famiglia – ad accettare un impiego in un posto che può distare migliaia di chilometri da casa? Scopriamolo insieme.

Gli spostamenti all’estero: Germania e Inghilterra le mete più gettonate

Il report dell’Osservatorio statistico dei Consulenti del Lavoro – che prende le mosse da alcune rilevazioni dell’Istat – fornisce un’analisi puntuale degli spostamenti, per motivi di lavoro, negli anni della crisi. Stando a quanto certificato, nel periodo compreso tra il 2008 e il 2015, quasi 792 mila residenti in Italia hanno scelto di trasferirsi all’estero. Di questi, 509 mila erano italiani e 282 mila stranieri. Uno degli elementi più interessanti emersi dallo studio è, infatti, quello che riguarda la quota di stranieri (pari al 30%) che, per mancanza di lavoro, si è vista costretta a tornare nel proprio Paese di origine. Si tratta, in prevalenza, di ucraini e rumeni, che hanno dovuto prendere coscienza dell’impossibilità di prolungare la loro permanenza nel Bel Paese. Limitatamente al 2015, il rapporto ha rilevato che 108 mila residenti in Italia hanno fatto le valigie per andare a lavorare in un altro Paese europeo, 18.500 si sono trasferiti in America, mentre 11 mila in Asia. Più nel dettaglio: la Germania è il Paese che ha accolto più italiani in assoluto (20 mila nel 2015, 17 mila nel 2014), seguita dal Regno Unito (19 mila nel 2015, quasi 15 mila nel 2014), dalla Francia (12.600 nel 2015, 10.300 nel 2014) e dalla Romania (12 mila nel 2015, 12.700 nel 2014) dove sono tornati molti rumeni rimasti senza lavoro in Italia.

Gli spostamenti in Italia: chi va, chi viene, chi resta

Ma spostarsi per lavoro non vuol dire necessariamente varcare i confini nazionali. Molti italiani, infatti, si muovono all’interno dello Stivale, seguendo dinamiche collaudate da tempo. Per essere più chiari: la cronica mancanza di lavoro nel Mezzogiorno continua a causare una profonda “emorragia” di risorse. Che – per trovare un impiego – sono costrette ad allontanarsi da casa. Detta in numeri: tra il 2008 e il 2015, le regioni del Nord hanno “acquisito” 273 mila residenti- lavoratori in più, quelle del Centro ne hanno guadagnati quasi 110 mila, mentre le regioni del Sud ne hanno persi 383 mila. La Lombardia (con 102.800 unità), l’Emilia Romagna (con 82 mila) e il Lazio (con 51.700) sono le tre regioni in cui, nel lasso di tempo preso in esame, il numero di residenti è aumentato di più. Mentre la Campania, la Sicilia e la Puglia (con una flessione rispettivamente di 160 mila, 73.400 e 73.300 unità) sono quelle che hanno visto partire il maggior numero di persone, per motivi di lavoro.

Lo studio dell’Osservatorio ha, inoltre, radiografato il campione di connazionali che lavorano nei comuni di residenza. Secondo il report, nel 2008 erano 13 mila (pari al 57,3% del totale), mentre nel 2016 sono scesi a 12 mila (54,1%). Quella di trovare un impiego nel comune di residenza sembra essere una fortuna riservata a chi vive nelle grandi città. E in particolar modo a chi risiede a Genova (94,5%), a Roma (93,9%), a Palermo (92,2%), a Messina (88,9%), a Venezia (88,2%) e a Napoli (86,3%).

E veniamo a chi è, invece, costretto a spostarsi. Il rapporto ha rilevato che: su 22 milioni di occupati, di età compresa tra i 15 e i 64 anni, 2,3 milioni lavorano in un’altra provincia. Di questi, il 12,3% ha tra i 15 e i 34 anni; l’11,5%, tra i 35 e i 44 anni; il 10,1%, tra i 45 e i 54 anni e l’8,1%, tra i 55 e i 64 anni. Cosa se ne deduce? Che all’aumentare dell’età anagrafica diminuisce la percentuale di persone che accetta di spostarsi per lavoro (anche solo da una provincia all’altra). In pratica – come è ovvio e fisiologico che sia – i giovani sono più propensi a mettersi in macchina o in treno per raggiungere l’azienda o l’ufficio, mentre i più attempati mostrano una minore propensione a “macinare” chilometri.

Tempi di percorrenza: il Nord viaggia più veloce

Ma c’è di più. L’Osservatorio statistico dei Consulenti del Lavoro ha voluto testare anche il livello di soddisfazione dei lavoratori residenti in Italia. Che ha distinto tra: coloro che lavorano nella provincia di residenza, coloro che lavorano in una provincia confinante e coloro che lavorano in una provincia non confinante. Prendendo come punto di partenza una scala di gradimento che va da 0 a 10, il monitoraggio ha rilevato che: per quanto riguarda le distanze e i tempi di percorrenza, i primi sono – ovviamente – i più soddisfatti (il voto medio è 8 su 10), mentre i terzi sono i meno soddisfatti (6 su 10). Per quanto riguarda la soddisfazione per l’attuale impiego: coloro che lavorano nella provincia di residenza hanno espresso un voto di gradimento pari a 7,4; coloro che lavorano in una provincia limitrofa, 7,5 e coloro che lavorano in una provincia non confinante, 7,6. Infine, per quanto concerne i guadagni: 6,5 è il voto medio espresso da chi lavora nella stessa provincia in cui vive, 6,7 quello espresso da chi si sposta in una provincia confinante e 7 quello indicato da chi si sposta in una provincia non confinante.

Approfondendo ulteriormente il discorso sulle distanze e i tempi di percorrenza, lo studio ha mostrato che le cose vanno abbastanza bene al Nord, sufficientemente bene al Centro e meno bene al Sud. Perché? Perché un lavoratore che risiede al Nord impiega mediamente 37 minuti per percorrere una distanza di 52 km e un’ora e 42 minuti per coprire 169 km. Mentre chi, al Sud, va a lavorare in una provincia confinante, impiega mediamente 51 minuti per spostarsi di 74 km e quasi 6 ore per percorrere 619 km. Una vera e propria odissea.

Più ti allontani e più guadagni

E chiudiamo con il fattore economico. Che – ca va sans dire –  è la motivazione più robusta che spinge gli italiani a spostarsi per lavoro. Soprattutto quando devono allontanarsi parecchio. La retribuzione media di chi lavora nella provincia in cui risiede, stando a quanto riportato nello studio, si attesta sui 1.289 euro; quella di chi va a lavorare in una provincia confinante, si attesta sui 1.470 euro (181 euro in più) e quella di chi raggiunge una provincia non confinante, si attesta sui 1.629 euro (341 euro in più). Ma attenzione: gli estensori del rapporto hanno precisato che i lavoratori “skilled” (i legislatori, gli imprenditori, i dirigenti d’azienda, i professionisti tecnici e con alta specializzazione), se vanno a lavorare in una provincia confinante, vedono crescere il loro stipendio del 9%; se accettano di spostarsi in una provincia più lontana, lo vedono aumentare del 15% e se vanno all’estero, possono arrivare a intascare il 29% in più.

E non è che l’inizio: i lavoratori “semi-skilled” (categoria che ingloba gli artigiani, gli operai specializzati, gli agricoltori, i conducenti di veicoli, le forze armate, alcuni impiegati di ufficio e i professionisti qualificati nel commercio) guadagnano: il 10% in più, se vanno a lavorare in una provincia confinante; il 14% in più, se si spostano in una non confinante e il 46% in più, se cambiano Paese. E va anche meglio ai cosiddetti “unskilled” ovvero i lavoratori senza qualifica. Spostarsi per lavoro, a loro, conviene parecchio, visto che lo stipendio sale mediamente del 14%, se si spostano in una provincia limitrofa; del 25%, se trovano lavoro in una provincia non confinante e cresce addirittura del 48%, se prendono l’aereo per andare all’estero. Abbandonare il “nido” costa tanto in termini affettivi, ma può anche far guadagnare parecchio.

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