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Mobbing e bossing: quando la vita in ufficio diventa un inferno

Se i colleghi o il capo ci prendono di mira, bisogna comprenderne il motivo. La responsabilità potrebbe essere nostra, ma in caso contrario….

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Diciamoci la verità: le persone che la mattina, dopo aver spento la sveglia che ha interrotto il loro sonno, sorridono pensando alla giornata di lavoro che li aspetta sono poche. E quelle che si fanno la barba o si aggiustano il trucco contando i minuti che li separa dalla riunione convocata dal capo ancora di meno. Fatte le doverose distinzioni (per fortuna, esistono anche molti lavoratori felici e gratificati), varcare la soglia dell’ufficio o dell’azienda in cui si lavora è una pratica a cui molti si sottrarrebbero volentieri; soprattutto coloro che sanno che ad attenderli troveranno un ambiente ostile. Lo scarso feeling coi colleghi e coi superiori può trasformare la vita in un inferno. Per questo, è bene valutare con scrupolo ogni cosa: per comprendere se l’idiosincrasia manifestata dalle persone che lavorano con noi ogni giorno sia da riferire a un loro pregiudizio o ad un nostro errore. O configuri pratiche ai limiti della legalità come il mobbing o il bossing.

mobbing e bossing
image by /a< Jirsak

Essere vittima di mobbing significa essere vittima di comportamenti vessatori tesi a screditarci e isolarci in ambito lavorativo. E a procurarci danni psicofisici che finiscono per ledere (spesso in maniera pesante) la nostra dignità e la nostra salute. L’intento è quello di emarginare e ridicolizzare il soggetto preso di mira, colpendolo con ogni mezzo possibile: dagli insulti alle maldicenze, dalle umiliazioni ai demansionamenti. E nelle situazioni più diverse e apparentemente insignificanti. Qualche esempio? Non ricambiare il saluto di un collega entrato in stanza o non invitarlo mai a prendere un caffè insieme agli altri, così come rivolgersi a lui solo per dargli istruzioni che potrebbero essere date a bambini della scuola elementare possono bastare a farlo sentire inferiore e frustrato. E ad indurlo verso una spirale pericolosa che potrebbe generare veri e propri “sfaceli”. Chi viene ghettizzato al lavoro finisce, infatti, molto spesso, per credere che sia inadeguato ed incapace e può abbandonarsi a stati di ansia e distress (lo stress cattivo) che possono condurlo alla depressione.

Fin qui il mobbing “orizzontale”, che coinvolge persone che, nell’organigramma aziendale, si posizionano sullo stesso gradino (i colleghi, per intenderci). E che, molto spesso, trattano male il compagno di scrivania solo perché il clima in ufficio è teso e decidono quindi di riversare la loro frustrazione sul malcapitato che diventa un vero e proprio “capro espiatorio”. Ma cosa succede se a farci sentire piccoli, inetti e mal voluti sono i nostri superiori? In questo caso, possiamo parlare di mobbing “verticale” o bossing perché è proprio il capo a costruirci intorno quell’ostilità che può indurci a prendere decisioni irrevocabili. Gli studiosi che, da anni, si dedicano all’approfondimento della questione sostengono che questa specifica forma di mobbing abbia un unico obiettivo: quello di indurre la risorsa “bersagliata” al licenziamento. E che per farlo, il boss può arrivare a fare di tutto, o quasi. La casistica riferisce di rimproveri ingiustificati o di vere e proprie minacce, così come di revoche improvvise di benefit conquistati negli anni (come l’auto o il telefono aziendale). Ma c’è anche chi fa di peggio e arriva ad ordinare al dipendente indesiderato – che magari, fino ad allora, ha svolto mansioni particolarmente delicate – di rivolgere ogni suo futuro sforzo professionale alla fotocopiatrice o alla macchinetta del caffè. O chi, al contrario, gli affida compiti impossibili da portare a termine entro le scadenze indicate. I motivi che possono indurre i capi a perpetuare comportamenti così scorretti e lesivi sono molteplici: c’è chi lo fa perché considera la risorsa poco produttiva e chi, al contrario, perché la valuta eccessivamente produttiva e teme che possa “soffiargli” il posto. Ma c’è anche chi, progettando una ristrutturazione tesa a “svecchiare” l’azienda, prende di mira i sottoposti più agée, nella speranza di indurli al licenziamento.

Sia come sia, si tratta di comportamenti scorretti e deprecabili, che dovrebbero essere tempestivamente denunciati, per evitare che anche la vita privata ne esca con le ossa rotte. Dimostrare di essere vittima di mobbing non è, però, così facile. Il lavoratore che inizia a cogliere i segnali della crescente “insofferenza” di colleghi e superiori nei suoi confronti deve dimostrare grande abilità e impegnarsi a raccogliere tutto il materiale utile a provare la vessazione di cui è vittima. Dalle email ai messaggi, passando per le registrazioni di alcuni stralci di conversazione che testimonino, al di là di ogni ragionevole dubbio, la scorrettezza dei comportamenti dei suoi compagni di lavoro. Coloro che, giorno dopo giorno, l’hanno messo in un angolo in ufficio.

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