Sempre più imprenditori starebbero prendendo in considerazione l’idea di rivolgersi a uno “strozzino”. E’ quanto ha messo in evidenza una recente indagine della Cgia di Mestre secondo la quale il numero di denunce di usura e di estorsione sarebbe in costante ascesa.
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Piccole imprese nel mirino
A spingere molte imprese del Bel Paese (soprattutto del Sud) a rivolgersi a un usurario sarebbe la difficoltà di beneficiare di un prestito da parte delle banche. I dati in possesso dell’Ufficio Studi della Cgia hanno, infatti, rilevato che da giugno 2011 a giugno 2015, gli istituti di credito hanno concesso 104,6 miliardi di euro in meno alle imprese italiane, costringendole (nei casi più disperati) a cercare un soccorso altrove. Di più: le denunce di usura sono risultate in costante crescita: dalle 352 registrate nel 2011, si è infatti passato alle 405 del 2012 e alle 460 del 2013, con un incremento del 30,7% in soli due anni. E a salire è stato anche il numero delle denunce di estorsione: dalle 6.099 del 2011 alle 6.478 del 2012 fino alle 6.884 del 2013 (+12,9% in due anni). “Con la forte contrazione dei prestiti bancari avvenuta in questi ultimi anni, soprattutto nei confronti delle imprese di piccola dimensione – ha osservato Paolo Zabeo della Cgia – esiste il pericolo che il fenomeno dell’usura, soprattutto al Sud, assuma dimensioni preoccupanti. Un crimine invisibile che rischia di minare la tenuta finanziaria di moltissime attività commerciali ed artigianali”.
Nella “morsa”, tra scadenze e spese impreviste
E non si trascuri il fatto che, con ogni probabilità, il numero di denunce pervenute alle autorità giudiziarie rappresenta solo una piccola parte dei reati realmente consumati. Perché, come ha ricordato lo stesso Zabeo: “Spesso le vittime di questo crimine si guardano bene dal rivolgersi alle forze dell’ordine; chi cade nella rete degli strozzini è vittima di minacce personali e ai propri familiari e per questo evita, in molti casi, di chiedere aiuto”. Cosa si può fare, allora, per tentare di ricostruire un quadro quanto più verosimile possibile? “Abbiamo incrociato i risultati di ben 8 indicatori per cercare di misurare con maggiore fedeltà questa piaga – ha spiegato il responsabile dell’Ufficio Studi della Cgia – Ciò che pochi sanno sono le motivazioni per le quali molti artigiani o piccoli commercianti diventano prede degli usurai. Oltre al perdurare della crisi, sono soprattutto le scadenze fiscali e le piccole spese impreviste a spingere molti imprenditori nella morsa degli strozzini”.
Anche l’usura spacca in due il Paese
L’indagine dei tecnici di Mestre ha dunque preso in considerazione una serie di fattori attraverso i quali si è calcolato (nel modo meno approssimativo possibile) l’indice di rischio di usura nei vari territori dello Stivale. Tra i fattori presi in esame: la disoccupazione, il numero di sportelli bancari disponibili, i tassi di interesse più o meno alti, ma anche il numero di protesti e il tasso di sofferenza delle banche (oltre alle già citate denunce di usura ed estorsione). Ne è venuta fuori l’ennesima fotografia di un’Italia divisa in due, con un Sud altamente esposto al rischio usura e un Nord molto meno compromesso. Più nello specifico: a primeggiare, nella ben poco gloriosa classifica nazionale, è la Campania che ha un indice di rischio all’usura molto alto, pari a 155,1. A seguire la Calabria (146,6), la Sicilia (145,3), la Puglia (136,3) e la Basilicata (133,2). Molto meno esposti al rischio dell’usura sono, invece, il Piemonte (86,4), la Lombardia (82,2), la Liguria (80,9), il Veneto (73,2), il Friuli Venezia Giulia (72,8) e, soprattutto, il Trentino Alto Adige dove l’indice, fermo a 47,6, risulta particolarmente basso.
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