I dati diffusi ieri dall’Eurostat ci dicono che il costo del lavoro in Italia è sceso ulteriormente segnando, tra ottobre e dicembre 2015, il minimo storico. L’istituto di statistica europea ha, infatti, certificato una flessione annua dello 0,8%, a fronte di un aumento che si è invece registrato sia nell’Area Euro (+1,3%) che nell’Ue a 28 (+1,9%). Una buona notizia? Sulla carta sì: se il costo del lavoro scende, le chance che gli stranieri vengano a investire nel Bel Paese crescono. Ma a ridimensionare gli entusiasmi arriva un recente studio realizzato dal Cologne Institute for Economic Research che ha ricordato come il peso della fiscalità in Italia continui a inficiarne l’appeal presso gli investitori internazionali.
Stando a quanto verificato dall’Eurostat, l’Italia è, insieme a Cipro, il Paese europeo in cui, negli ultimi tre mesi del 2015, il costo del lavoro è calato in maniera più significativa (-0,8%). Per effetto del calo registrato nella componente non salariale (quella che riguarda i contributi, per intenderci) che è scesa del 2,1% in un anno. Le cose sono andate in maniera completamente diversa in molti altri Paesi europei, a partire dalla Romania il cui costo del lavoro è cresciuto dell’11,4%, dalla Repubblica Ceca (+8,6%) e dalla Lettonia (+7,7%). Ma anche in Germania, tra ottobre e dicembre 2015, il costo del lavoro è salito del 2,1% in un anno, mentre in Francia e nel Regno Unito sono stati rilevati incrementi meno vistosi (rispettivamente +1,3% e +0,2%).
Oltre all’Italia e a Cipro che, come già detto, detengono il primato europeo con una flessione dello 0,8%, anche in Olanda, il costo del lavoro è sceso dello 0,4% in un anno (con un vero e proprio tracollo della componente non salariale che ha fatto segnare un più che significativo -8,2%). Così come in Lussemburgo dove, nel periodo preso in considerazione, il costo del lavoro è sceso dello 0,1%. Si tratta indubbiamente di una piccola buona notizia, che sembra profilare nuove opportunità per l’economia italiana. Ma è davvero così? Secondo un recente studio realizzato dal Cologne Institute for Economic Research, non è il caso di farsi troppe illusioni. Perché nella classifica a 30 da lui compilata, l’Italia risulta essere il Paese con il più alto costo del lavoro. Un posizionamento pesante che, secondo gli estensori dello studio, è da riferire all’elevata tassazione che penalizza sia i profitti delle imprese italiane che la busta paga dei loro lavoratori. Nello specifico, fatto 100 il valore della Germania (presa come punto di riferimento), l‘Italia ha un valore pari a 110 (il più alto di tutti) che precede il 106 della Norvegia, il 105 del Regno Unito, il 104 della Francia e il 103 del Belgio. Contro un valore medio dell’intera Area Euro fermo a 97.
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