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Diventare sommelier: la parola ai professionisti

Diventare sommelier, una professione con possibilità interessanti, ma bisogna essere all’altezza. E’ la competenza a fare la differenza.

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Gli ultimi dati sull’export di vino sono positivi: nel mese di febbraio 2016 c’è stato un incremento nelle esportazioni del 10%. Ciò conferma che il vino italiano è molto apprezzato all’estero e che il settore vinicolo può risultare d’interesse per chi cerca lavoro. Ma quali sono le professioni e quali competenze bisogna avere per lavorarci? Una figura molto apprezzata nel settore è quella del sommelier, colui che nell’ambito della degustazione del vino, fornisce informazioni sulle caratteristiche del prodotto e propone gli abbinamenti con le pietanze. Ma come si può diventare sommelier e quali sono gli sbocchi lavorativi di questa figura? Ne abbiamo parlato Fiorenzo Detti, presidente Lombardia di AIS, l’Associazione Italiana Sommelier, una delle associazioni del nostro paese che organizza corsi per diventare sommelier, oltre alla FISAR.

La struttura del corso per diventare sommelier

Innanzitutto gli abbiamo chiesto com’è strutturato il corso per diventare sommelier e quali competenze consente di acquisire.

“Il corso si divide in tre parti e precisamente in 45 momenti formativi. Durante il primo livello si apprendono le nozioni che ruotano attorno alla costruzione del bicchiere di vino, e quindi sulla coltura della vite e la vinificazione. Il secondo livello è dedicato alla tecnica di degustazione. Inoltre ci sono incontri in cui parliamo di bevande alcoliche come birra o sake, che hanno fatto storia e cultura nelle varie parti del mondo. Tengo a precisare che quando parliamo di vino, parliamo sempre di bere responsabile. Non vogliamo certo incentivarne un consumo scellerato” – ha tenuto a precisare Detti.

In sostanza nel corso si apprende come si costruisce un bicchiere di vino, dalla vigna alla cantina. Vengono anche illustrate le tipicità regionali, europee e mondiali al fine di far conoscere i segreti dei territori più rappresentativi. Nel terzo livello del corso viene trattato invece il binomio cibo-vino e quindi come abbinare il giusto vino alle pietanze. Detti ha poi aggiunto che “alla fine di questi 45 momenti formativi non si diventa agronomi, né enologi, né questo tipo di formazione è equiparabile a una laurea. Con i nostri corsi vogliamo far conoscere il vino e far avvicinare gli appassionati a questo mondo, come ad esempio i proprietari di ristoranti, per dargli uno strumento di conoscenza sulla costruzione e la degustazione del vino e il corretto abbinamento cibo-vino.”

Per accedere ai corsi non è necessario un titolo particolare, ci ha spiegato Detti. “Molti iscritti – ha aggiunto – fanno tutt’altro nella vita. Poi ci sono anche addetti ai lavori come proprietari o dipendenti di esercizi pubblici, bar, ristoranti, enoteche, dipendenti di aziende vinicole ecc, che scelgono di frequentare i corsi per poter capire meglio come si degusta il vino, come si abbina al cibo e quindi per migliorare le loro conoscenze. Come del resto ho fatto io tanti anni fa: dopo aver avuto varie esperienze lavorative in bar e ristoranti mi sono reso conto che mi mancava qualcosa e così ho deciso di frequentare un corso per diventare sommelier”.

I professionisti del settore sono circa il 30% degli allievi dei corsi AIS e da questa esperienza, secondo Detti, portano via quel valore aggiunto sulla base dell’impegno che ci mettono nella frequenza e che poi trasmettono nell’ambito del loro lavoro ai clienti. “Così il titolare di un’attività di ristorazione riuscirà meglio a vendere una bottiglia abbinandola ai propri piatti e uno chef, conoscendo i vini che ha in carta nel ristorante, potrà abbinarli al meglio alle varie preparazioni.”

Ma quali possibilità di trovare lavoro ci sono alla fine di un corso per diventare sommelier?

“Alla fine dei nostri corsi ci sono sempre delle aspettative di trovare lavoro come sommelier, ma sarebbe ingiusto dire che dopo questo corso si può aspirare automaticamente a un posto di lavoro nel settore, soprattutto oggi con le difficoltà che ci sono nel trovare un’occupazione – ha ammesso Detti – Come del resto è vero anche che, se si hanno già conoscenze nel settore della ristorazione e del turismo, con una specializzazione da sommelier, si può aspirare a trovare un lavoro stagionale e magari anche un posto più stabile, magari all’estero. Per quanto riguarda i nostri allievi che già hanno un posto di lavoro e quindi si avvicinano al nostro corso solo per portare via un valore aggiunto, l’attestato aiuta a migliorare il curriculum, anche in termini di potere contrattuale. Quindi ci tengo a dire che il diploma aiuta, è qualcosa in più, ma non posso far passare l’idea che la frequenza del corso aiuti a risolvere i propri problemi legati all’occupazione.”

La parola a un sommelier

Abbiamo poi chiesto direttamente a un sommelier, Gabriele Chiesa, titolare del ristorante “Le tre torri” di Pavia, come questa figura possa costituire un vantaggio per la propria attività. “Dopo aver frequentato il corso per diventare sommelier, per me è cambiato il modo di interpretare il vino – ci ha raccontato – insieme ai miei collaboratori ho mutato la metodologia di lavoro, offrendo un servizio di maggior qualità attraverso l’ampliamento della carta dei vini. Quello che facciamo è ricercare il prodotto giusto al momento giusto. Voglio specificare però, che al di là del corso, quella del vino è per me una vera passione.”

Qual è l’utenza che apprezza ed è maggiormente attenta alla scelta del vino?

A parte la fascia di appassionati che cercano il prodotto più di nicchia, Gabriele ci ha spiegato che ultimamente c’è uno spiccato interesse verso il vino anche da parte di un’utenza giovane e femminile.

Gli abbiamo domandato poi se la cura della carta dei vini abbia portato più clientela.

“Il mio locale è aperto da undici anni e quindi ho dei clienti storici – ha precisato Gabriele – ciò che ho notato dopo aver ampliato l’offerta dei vini sulla carta del menu è che la possibilità di scegliere, per i clienti, fa la differenza. L’ampia gamma di vini che offriamo è apprezzata e riesce ad accontentare tutti. E per consentire a tutti di consumare vino ho insistito molto sull’offerta di vino al calice, così i miei clienti si sentono più liberi di consumarlo, senza essere costretti ad ordinare l’intera bottiglia. Dovrebbe essere una prassi e una scelta di tutti, ma manca la cultura enologica e l’attenzione al vino.”

In ultimo, dal momento che il sommelier deve essere in grado di conoscere le proprietà organolettiche del prodotto, ma allo stesso tempo deve essere in grado di comunicare tali nozioni al cliente, abbiamo domandato a Gabriele se contino di più le conoscenze tecniche o le doti comunicative. Secondo lui entrambe le componenti sono importantissime. “Ciò che ritengo però – ha sottolineato – è che prima di tutto, per essere un buon sommelier è necessario essere appassionato. Io posso dire di aver trasmesso la passione per il vino ai miei collaboratori che, grazie a essa, hanno intrapreso un’esperienza anche fuori dal ristorante. Diventare sommelier vuol dire infatti varcare la soglia della sala e della cucina per imparare come si costruisce il prodotto, i processi di vinificazione e le attività di un’azienda vinicola. Bisogna capire prima di tutto perché la bottiglia è lì, sul tavolo.”

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