Stando a quanto elaborano due università americane, le donne che riprendono a lavorare dopo il periodo di maternità stanno meglio se il ritorno è “a tempo pieno”, anziché part-time. In altri termini, il ritorno occupazionale full time garantirebbe loro una maggiore soddisfazione e un più adeguato “stato di forma” rispetto a quanto potrebbero ottenere mediante un ritorno a tempo parziale.
L’analisi effettuata dagli istituti di ricerca sembra così smentire i timori di chi invece ritiene scarsamente consigliabile un re-ingresso nel mondo del lavoro in maniera eccessivamente incisiva, suggerendo in alternativa un ritorno graduale mediante il part-time.
Secondo i ricercatori statunitensi delle università di Penn State e Akron, sarebbe invece vero proprio il contrario: su uno studio condotto su un campione di 2.540 donne, diventate madri tra il 1978 e il 1995, sarebbe emerso che sono proprio coloro che hanno fatto ritorno a tempo pieno sul proprio posto di lavoro a stare meglio, e a sentirsi più felici e sane.
La ricerca afferma infatti – come riportato da un recente approfondimento curato da La Repubblica – che riprendere il lavoro full-time possa essere un toccasana per riprendere quanto prima le proprie condizioni fisiche e mentali ottimali. Le neo mamme che tornano a lavoro a tempo pieno sono più in forma e hanno un minore rischio di ammalarsi di depressione. La ragione è relativamente semplice, e quanto meno intuibile: le neo mamme lavoratrici non corrono il pericolo di ricondurre la propria esistenza nella mera e unica cura della casa e della famiglia, “sfogando” sul lavoro la propria volontà di esprimere le capacità e le competenze di cui dispongono, e ottenendo dal lavoro la necessaria ricerca di gratificazioni extra familiari.
Di conseguenza, lo studio rivela come “a stare peggio” sono soprattutto le neo mamme disoccupate e, tra di esse, quelle che sono disoccupate non per scelta. In mezzo, coloro che hanno scelto un ritorno parziale, adottando una forma contrattuale part-time, che subiscono l’insicurezza determinata da una minore retribuzione e da ridotte possibilità di carriera professionale.
"Non rinunciate alle ambizioni, agli studi e alla carriera. Lavorare fa bene" – dichiara in materia Adrianne French dell'università di Akron, uno degli istituti protagonisti della ricerca, aggiungendo altresì che “il lavoro migliora la salute fisica e mentale delle donne perché migliora l'autostima e permette di raggiungere degli obiettivi, di mantenere un controllo sulla propria vita e di sentirsi autonome (…) Le donne che interrompono il lavoro poi incontrano più ostacoli”, e sarebbe pertanto addirittura opportuno, per quanto possibile e desiderabile, "rimandare il primo bimbo a dopo il matrimonio e a dopo la fine degli studi", e inoltre "non aspettare troppo per ritornare al lavoro dopo aver avuto un figlio".
La dott.ssa French suggerisce infine di contrastare i “passaggi critici” della vita di una donna, come il matrimonio o la nascita di un figlio, in maniera molto proattiva, evitando che gli stessi – per quanto graditi e ricercati – possano impedire di investire il tempo opportuno nella propria istruzione e nel raggiungimento delle proprie aspirazioni, “perché sono le donne quelle che per la famiglia finiscono con l'accettare più compromessi. Il lavoro rende più sane".