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Doppio Mobbing: quando la pressione cresce al lavoro e in famiglia

  Si tratta di un fenomeno molto frequente ma ancora pressoché sconosciuto ai non addetti ai lavori: il doppio mobbing. Ostilità e ingiustizie sul  luogo di  lavoro che fanno crescere la pressione in modo inevitabile anche in famiglia. Il pensiero di andare in ufficio scatena cefalee e tachicardie, la comunicazione con i colleghi o con …

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Si tratta di un fenomeno molto frequente ma ancora pressoché sconosciuto ai non addetti ai lavori: il doppio mobbing. Ostilità e ingiustizie sul  luogo di  lavoro che fanno crescere la pressione in modo inevitabile anche in famiglia. Il pensiero di andare in ufficio scatena cefalee e tachicardie, la comunicazione con i colleghi o con il capo è sempre ostile e immorale, il ricordo dei comportamenti aggressivi e umilianti subiti per tutto il giorno genera insonnia e attacchi di panico. Per una donna che subisce il mobbing sul posto di lavoro viene spontaneo riversare in famiglia tutto questo carico di angosce, frustrazioni e tristezza. Marito, figli e genitori diventano valvole di sfogo del proprio malessere e rappresentano l’unica risorsa alla quale potersi aggrappare in un momento così delicato. Ovviamente la risposta positiva e rassicurante dei familiari non tarda ad arrivare. Soprattutto in Italia, emblema della famiglia “chioccia” e protettiva, ogni membro si fa coinvolgere dalla situazione e scatta in modo immediato un meccanismo di comprensione e difesa nei confronti della vittima dei soprusi. Ma è una situazione che da un punto di vista psicologico logora nel tempo in maniera sorda e inevitabile.

Questo accade innanzitutto perché, a differenza di problemi “oggettivi” quali ad esempio una malattia o la perdita del lavoro, il problema del mobbing non è tangibile con mano dagli altri componenti della famiglia, che possono solo ascoltare quanto riferito dalla persona cara “mobbizzata”sul lavoro e cercare di aiutarla. Quest’ultima dal canto suo non farà altro che portare in casa dolore per le umiliazioni subite, rabbia, malumore e aggressività. È proprio in questa fase critica che la pressione cresce e si verifica un passaggio inconscio quanto devastante: la famiglia è satura, pur volendo non riesce più ad assorbire le negatività che è costretta a vivere nel quotidiano, e comincia a vedere il familiare come causa del malessere e della potenziale disgregazione del nucleo familiare stesso. È ovvio che questo tipo di meccanismo è inconscio, i componenti non si coalizzano in modo deliberato contro il familiare in crisi ma per un naturale istinto di sopravvivenza si chiudono e cercano di difendersi a loro volta.

Si tratta per l’appunto della teoria del doppio mobbing, rilevata per la prima volta in Italia dallo psicologo Herald Ege: la vittima che viene isolata, emarginata e trattata con diffidenza e ostilità sul luogo di lavoro, si trova a dover affrontare la medesima situazione anche in casa. Va da sé che questo rappresenta una condizione ad alto rischio per la vittima di mobbing che, sentendosi sola e allontanata da tutti, può cadere in profonda depressione e arrivare a compiere gesti anche estremi. È importante invece che la donna vittima di questa pratica al lavoro sia sostenuta in casa e possa contare sull’affetto e la sicurezza delle persone che le sono vicine, evitando che si rinchiuda in se stessa o che provi l’impulso di allontanarsi e fuggire. Per raggiungere questo obiettivo però è fondamentale un approccio il meno possibile “fai da te” bensì maturo e consapevole della necessità di un sostegno professionale da parte di psicologi, legali ed esperti del settore che possono aiutare nella risoluzione efficace del problema.

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