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Il bluff perfetto nel processo di selezione: storia di chi ha ingannato tutti per farsi assumere

un candidato a colloquio mente sulle sue reali competenze ed ottiene un lavoro. Come è andata a finire?

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Per la ricerca di una figura professionale molto difficile da reperire sul mercato, una grossa SpA lombarda si rivolse ad una società di selezione del personale tra le più note a Milano e con un marchio noto a livello internazionale. L’azienda aveva acquistato due nuove macchine a controllo numerico con sistemi software all’avanguardia, si trattava ora di cercare un programmatore per tali macchine. L’incarico fu assegnato a Massimo, esperto selezionatore del personale ed uno dei più validi consulenti della società di selezione contattata. Massimo è un mio amico e spesso ci scambiamo opinioni e confrontiamo sul mondo del lavoro e della selezione del personale.

La storia che mi ha raccontato ultimamente e che ha quasi dell’incredibile è degna di essere divulgata, anche perché contiene dei validi “insegnamenti” e “spunti di riflessione” sia per chi cerca occupazione sia per gli “addetti ai lavori” nel settore delle Risorse Umane.

Per la ricerca di questa figura Massimo mise i primi annunci e cominciò a fare lo screening dei curriculum ricevuti, riscontro: poca roba… si trattava comunque di una mansione “difficile” in pochi hanno i requisiti giusti e tutte le competenze tecniche richieste. Riuscì comunque ad inviare tre candidati a colloquio entro la prima settimana.

Trattandosi di una grossa e strutturata azienda l’iter di selezione non era certamente uno scherzo: reclutamento e prima scrematura da parte della società di selezione, colloquio con ufficio del personale dell’azienda e somministrazione di test psico-attitudinali, colloquio con l’ingegnere responsabile di produzione e relativa somministrazione di test tecnico ed infine colloquione finale con il direttore di stabilimento.

Dei primi tre candidati solo uno arrivò alle fasi finali, gli altri due furono “tagliati” quasi subito per mancanza di requisiti. Ma anche quest’ultimo, Mattia, alla fine non superò i test tecnici, che consistevano in una serie di 30 domande sulla programmazione a controllo numerico, ognuna delle quali prevedeva la scelta di una tra le 4 risposte proposte. Non arrivò ad indovinarne nemmeno la metà, insomma, aveva l’infarinatura ma in quel momento l’azienda cercava una persona esperta e subito pronta al lavoro, poiché le macchine venivano ora programmate da un ingegnere inviato dalla casa produttrice e che era lì in maniera temporanea.

Ancora qualche giorno di screening CV e ricerche e Massimo sembrò finalmente aver individuato la figura giusta, rispondeva al nome di Marcello ed era un perito industriale con tutte le carte in regola, già aveva lavorato come programmatore proprio su macchine simili.

Non perse tempo e lo contattò subito, ottimo colloquio, aveva perso il lavoro perché la vecchia azienda stava per fallire ed avevano venduto le macchine più costose, erano rimasti a lavorarci giusto il titolare ed i suoi familiari. Diede anche il riferimento del vecchio datore di lavoro per avere una referenza. Massimo colse l’occasione e contattò il vecchio datore di lavoro che non mancò di lodare le doti del suo ex dipendente.

Tutto ok quindi, si passa alle fasi successive, già dopo uno o due giorni ecco il colloquio con tre referenti contemporaneamente: il direttore del personale, la psicologa del lavoro responsabile di selezione e la sua tirocinante. Colloquio eccellente e non solo, ottimi risultati al test psico-attitudinale, risultato: persona motivata, valida e che sa il fatto suo.

Alla fase finale partecipò anche Massimo, orgoglioso del proprio operato: test tecnico e colloqui con l’ingegnere ed il capo dello stabilimento. Il test andò in maniera eccezionale, 30 risposte esatte su 30, anche l’ingegnere della casa produttrice delle macchine (che aveva preparato il test) rimase sbalordito, nessuno aveva mai fatto l’en plein su quel test prima d’ora.

Decisa quindi l’assunzione e contrattato un ottimo stipendio seduti in ufficio, ultima formalità: un giro in officina per vedere le macchine dal vivo e conoscere gli operai che ci lavorano intorno.

Arrivati al pannello di controllo Massimo, Marcello e l’ingegnere, nel frastuono tipico delle officine meccaniche (anche quelle più moderne) incontrarono il gruppo di operai al lavoro. L’ingegnere si rivolse all’operaio più anziano chiedendogli di mostrare a Marcello il lavoro che stavano facendo in quel momento ed introducendolo come il nuovo responsabile della programmazione delle macchine. E così mentre Massimo e l’ingegnere chiacchieravano in disparte, l’anziano operaio si intratteneva con Marcello mostrando il lavoro attuale con i pezzi che uscivano, il modo in cui ora erano piazzate le macchine ed il pannello di comando. Il tutto non durò più di cinque minuti e salutato l’operaio il trio si diresse verso la porta degli uffici, ma dopo i primi venti passi l’anziano operaio urlò dietro “Ingegnere, ingegnere…” richiamò la sua attenzione: “giacché è qui le devo dire due parole”. L’ingegnere a quel punto chiese a Marcello di andare avanti ed attenderlo in ufficio ed insieme a Massimo tornò indietro dall’operaio, che una volta avvicinati i due disse: “Senta ingegnere, assumetelo pure se volete provarlo ma continuate a cercare perché questo tizio di programmare queste macchine ne capisce davvero poco e niente…”

L’ingegnere fece una smorfia di “sufficienza” sollevando la testa ed il braccio e rispose con un semplice “si si ok…” mentre si voltava. Salutò con la mano allontanandosi insieme a Massimo.

Aperta la porta per andare negli uffici Massimo volle sapere chi era quell’operaio e come mai poteva dire una cosa del genere, l’ingegnere tagliò corto: “Lasci perdere, si chiama Nicola ed è qui in produzione da quasi quarant’anni, vicinissimo alla pensione ormai. Ottimo operaio meccanico, mai un’assenza e sempre disponibile ma ha il difetto di essere sempre un po’ diffidente e restio, specie verso i nuovi arrivati…”

Insomma quello che ha detto non vuol dire nulla e, perbacco, Marcello ha fatto 30 su 30 al test tecnico e superato tutti i colloqui. Tutto ok quindi ed al lunedì successivo il nuovo assunto inizia a lavorare, affiancato per una o al massimo due settimane dall’ingegnere inviato dalla casa produttrice delle macchine (saranno più sufficienti ovviamente, tanto è espertissimo…).

Passa la prima settima e la seconda, alla terza settimana a Massimo squilla il cellulare, è il direttore di stabilimento e la notizia non è delle migliori: Marcello non sa affatto programmare le macchine, ci prova, si impegna, ha certamente delle basi, ma davvero troppo troppo lontano dal poter dire di essere una programmatore su quelle macchine. Si riparte con la selezione.

Ma come diavolo era possibile? Come può essere successo? E la referenza? Ed i colloqui tutti positivi? Ed il test 30 su 30?

Il direttore spiego a Massimo che dopo i primi giorni già iniziarono a sorgere alcuni dubbi, poi anche di fronte ad operazioni semplici Marcello sembrava un dilettante ed alla fine richiamato in ufficio e messo alle strette dal direttore di stabilimento, pian piano confessò: la referenza dell’ex datore di lavoro? In quell’azienda aveva si lavorato sulle macchine, ma come operaio e mai programmandole in autonomia ma al massimo “piazzandole” (come si dice in gergo quando si gestisce la macchina già programmata), aveva poi chiesto il favore all’ex datore di lavoro (che comunque pare si sentisse in colpa per averlo dovuto licenziare a causa della crisi, era comunque un valido dipendente) di “esagerare” sulle sue competenze tecniche. Ed i colloqui con l’ufficio del personale? La psicologa del lavoro ed i test psico-attitudinali? Beh…  quella parte serve a capire la motivazione, non di certo la capacità tecnica, e di motivazione Marcello ne aveva da vendere…. Ma la cosa più misteriosa rimaneva il test tecnico superato a pieni voti… ed ecco la confessione più schockante: ricordate Mattia? È uno dei primi candidati che Massimo mandò a colloquio, non superò il test ma si tenne il foglio con le risposte corrette, nessuno glielo chiese indietro e se lo portò a casa. Ebbene, Mattia e Marcello erano amici, fu lui a segnalargli l’opportunità e consigliargli di candidarsi… e così semplicemente imparò le risposte a memoria ed in più si fece dare qualche dritta sulle fasi di selezione, che utilizzò al meglio.

Marcello giustificava comunque la sua posizione, aveva bisogno di un lavoro ed ha colto la palla al balzo, le macchine le conosceva veramente ed era convinto che studiando la sera e concentrandosi nell’affiancamento poteva imparare velocemente senza che nessuno si accorgesse che aveva bluffato. Ma aveva indubbiamente sottovaluto la complessità di quella mansione, che richiede moltissimo studio e competenze.

Mentre l”ufficio del personale era infuriato con Marcello e parlava addirittura di denunciarlo, il direttore di stabilimento era rimasto talmente colpito dalla sua intraprendenza, che valutando comunque la voglia di lavorare ad ogni costo, contrattò la piena confessione in cambio di un posto di lavoro presso una loro aziendina satellite, come semplice operaio e con stipendio ovviamente ben differente. Marcello accettò entusiasta.

Insomma, scoperto l’arcano di questa storia, faccio le mie conclusioni… la figura che più mi ha colpito è certamente quella dell’anziano operaio: Nicola.

Marcello con il suo bluff era infatti riuscito a superare (o ingannare o gabbare, chiamiamolo come vogliamo) nell’ordine: una forte società di selezione, un direttore del personale, una psicologa del lavoro e la sua tirocinante, un ingegnere capo di produzione, un direttore di stabilimento ed anche l’ingegnere della casa produttrice ed il suo test; aveva superato brillantemente test psico-attitudinali e colloqui per un totale di svariati incontri. Ma…. non era riuscito a “fare fesso” Nicola, che non era un dirigente, non aveva il titolo di ingegnere né una laurea in psicologia del lavoro, non aveva somministrato alcun test al candidato, non aveva preso referenze e non lo aveva nemmeno colloquiato, ma… viveva in un’officina meccanica da quasi quarant’anni per 8 o 9 ore al giorno, e meno di cinque minuti di osservazione gli erano stati sufficienti per inquadrare la situazione.

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