Quali sono le mansioni del community manager, quale è il suo stipendio e come diventarlo
L’avvento dei social network nella realtà quotidiana è stato da propulsore anche per il mercato del lavoro, dato che esistono tante nuove professioni legate a questi nuovi canali comunicativi. Fra queste, la più interessante è sicuramente quella del community manager, il cui obiettivo è quello di gestire gli account social ufficiali di brand e/o personaggi pubblici e di mediare le conversazioni fra quest’ultimi e i follower. Che si tratti di Facebook, Instagram o Twitter, il community manager (chiamato dagli addetti ai lavori anche con la sigla CM) è una figura indispensabile per tutte le grandi aziende. Ai lettori più superficiali questa professione può apparire banale e semplice da effettuare: nel prossimo paragrafo si capirà che non è così.
Indice
Cosa fa di preciso un community manager?
Il community manager ha un macro obiettivo fondamentale: gestire le domande e/o le critiche che arrivano dai follower dando le giuste risposte ed evitando quelli che gli addetti ai lavori chiamano “social media fail”. I follower devono ricevere dall’account social del brand in questione sempre risposte corrette e adeguate. Tuttavia, quella appena esaminata è una fase già avanzata di un account di successo: se si tratta, ad esempio, di un brand arrivato da poco sui social network il bravo CM deve anzitutto gettare le basi per ottenere follower fedeli e attivi. Per avere questi risultati bisogna mettere in campo tutta una serie di attività.
Chiarire subito le linee guida
In linea con il vecchio detto “patti chiari e amicizia lunga”, Il CM deve redarre in prima battuta un documento ufficiale a cui tutti i follower interessati al dialogo devono sottostare. Il tale documento saranno specificate le tematiche ammesse sul profilo social, le policy da seguire, ma soprattutto verranno chiaramente evidenziati tutti quei casi in cui un utente può incappare in censure e “ban”. Nello stabilire le policy comunicative, inoltre, il community manager deve essere “pronto al peggio”, ovvero pianificare a priori la strategia comunicativa in casi di crisi o domande particolarmente scomode. Per fare un esempio, deve essere pronto al peggio il CM a cui sono affidati gli account social di un qualunque partito politico, dato che scandali e domande scomode sono la prassi in questo ambiente. Per non correre rischi, quindi, il bravo CM si prepara e studia un analisi SWOT, in cui sono elencati i punti di forza e i “talloni d’Achille” dell’azienda. Partendo dall’analisi SWOT dovrà poi redarre un documento guida in cui saranno evidenziate
- Le criticità dell’azienda
- Le possibili accuse
- Le persone giuste da contattare
- Le risposte di “default” da usare
Dato che le situazioni di crisi possono cambiare e/o evolversi nel corso del tempo, le linee guida dovranno essere aggiornate periodicamente, al fine di evitare quelle che sui social si chiamano anche “shit storm”, termine inglese la cui traduzione sembra evidentemente superflua.
Individuare il proprio target
Il community manager, a seconda dell’azienda che rappresenta, deve coltivare il pubblico di riferimento. Il primo obiettivo è quindi attirare a sé follower che per età, livello di istruzione, genere e così via sono più compatibili con la mission aziendale. Ad esempio, il CM di un’azienda che produce assorbenti intimi si rivolgerà prevalentemente alle donne comprese in una fascia di età che va mediamente fra i 13 e i 55 anni. Si tratta di un lavoro certosino, da fare quotidianamente pubblicando contenuti ad hoc su tutti i canali social.
Il bravo CM non deve limitarsi a essere presente su tutti i social network di successo, ma deve utilizzare gli strumenti comunicativi più adatti a seconda del canale. Ad esempio, se su Twitter basta un semplice tweet per esprimere un concetto, su Instagram il medesimo tipo di messaggio deve essere veicolato attraverso un’immagine accattivante.
Ascoltare ciò che i follower dicono
Le conversazioni fra brand (e quindi CM) e follower non devono essere unidirezionali. Il bravo community manager presta particolare attenzione a tutto quello che i follower hanno da dire, individuando per ognuno di essi gli interessi, i contenuti che amano condividere e soprattutto l’opinione che hanno dell’azienda. Per fare tutte questo il CM deve partecipare attivamente alle conversazioni, esprimendo un parere o fornendo comunicazioni che riguardano il brand. Rispondere in maniera tempestiva ed esaustiva ai follower aiuta ad aumentare la fiducia che questi hanno nei confronti del brand, perfino in situazioni problematiche. Anche il tono della conversazione è importante: è fondamentale evitare sia gli inutili formalismi, sia le “risposte di circostanza”. Nelle sue comunicazioni il CM deve essere chiaro e diretto, ovviamente evitando toni polemici e offensivi.
Spingere sulle conversazioni proficue
Il bravo CM, come appena detto, deve partecipare attivamente a tutte le conversazioni in linea con le policy precedentemente stabilite, ma deve spingere sull’acceleratore quando gli argomenti possono essere utili all’azienda in termini di consensi. Dato che conversazioni del genere non nascono mai da sole, il community manager deve promuovere tutte quelle attività che possono farle nascere: dai semplici sondaggi ai concorsi a premi, passando per incontri, eventi e conferenze.
Gestire le crisi: il caso dell’olio di palma
Anche se il community manager pianifica tutte le strategie comunicative con precisione certosina, sui social network gli imprevisti sono la regola. Quando un’azienda effettua un passo falso dal punto di vista comunicativo e/o gestionale, gli account della medesima sui social sono letteralmente ricoperti dagli insulti. La denominazione “shit storm” deriva proprio dal tono delle parole che molti utenti, in maniera più o meno corretta, utilizzano.
Non sono queste le righe adatte in cui si può discutere sul valore etico delle “shit storm”: il CM deve imparare a conviverci, che gli piacciano o meno. Prendiamo ad esempio un caso che ha creato scalpore negli anni recenti, quello dell’olio di palma. La vicenda nasce da alcuni studi secondo i quali questo ingrediente, presente in una quantità smisurata di alimenti in commercio, sembrerebbe essere nocivo per la salute. Sull’argomento ci sono ancora degli studi in corso, quindi usare il condizionale è d’obbligo. Ed è proprio grazie a questo clima di incertezza che i CM delle varie aziende coinvolte hanno sviluppato due strategie diametralmente opposte.
La maggior parte delle aziende, vedendosi ricoperta dagli insulti, è corsa ai ripari: attraverso i canali social i CM hanno sottolineato come nei prodotti venduti dal brand di riferimento non fosse presente l’olio di palma. Sono state addirittura imbastite delle campagne social in cui la scritta “senza olio di palma” campeggiava al fianco del nome del prodotto/brand. Il CM della Nutella, invece, ha preso una strada diversa. La mitica cioccolata della Ferrero ha nell’olio di palma uno dei suoi ingredienti fondamentali, quindi modificare la ricetta originale avrebbe potuto portare effetti negativi sui dati di vendita. Il CM della Nutella ha dato vita a una serie di attività in cui, oltre a sottolineare che gli studi sulla nocività di questo prodotto sono ancora tutti da verificare, ha certificato che l’azienda si serve solo di olio di palma sicuro ed eco sostenibile. È bastato dire che si trattava di un “olio di palma Nutella” per rabbonire le critiche dei follower. L’esempio dell’olio di palma dimostra come si possano gestire le “shit storm” smontando le polemiche sul nascere e sfruttando i punti di forza del marchio (il “peso” del brand Nutella).
Come si diventa community manager?
Come capita per tutte le professioni di ultima generazione, anche per il CM a oggi non esiste un percorso accademico chiaro e definito. Sicuramente costituisce un titolo preferenziale aver conseguito lauree in ambito informatico e tecnologico, ma ovviamente non sono la regola. Il bravo CM deve avere competenze generiche di argomenti come web marketing e social network. Per sopperire a queste lacune oggi è possibile seguire dei corsi specifici, alcuni dei quali promossi da molte università italiane. Oltre alla formazione teorica è opportuno seguire un periodo di “praticantato”: in tal senso le web agency rappresentano le migliori “palestre” per CM.
A quali aziende può servire un community manager
La professione di community manager è assolutamente trasversale. Non solo può interessare tutte le aziende di ogni settore merceologico, ma può tornare utile anche a enti pubblici. Hanno bisogno di un CM, oltre alle aziende, anche i politici, gli attori, gli enti statali e le associazioni. Chiunque abbia dei canali social da promuovere può aver bisogno del CM.
Si tratta inoltre di una professione che può essere svolta sia da freelance, sia da dipendente. In questi casi la scelta è dettata prevalentemente dalla fama del CM. Tutti i CM più bravi e famosi d’Italia operano come freelance, ed hanno quindi una partita IVA. Per chi invece deve ancora fare gavetta in questo campo il consiglio è trovare un’azienda con cui partire da dipendente.
Quanto guadagna un community manager, stipendio ed introiti
Trattandosi di un campo non regolamentato da nessuna normativa, è difficile fare un quadro che rappresenti al meglio la questione. Secondo recenti ricerche, lo stipendio medio di un community manager si aggira sui 30.000 euro annui, con importi minimi di 21.000 euro e picchi massimi superiori ai 41mila euro. Per qualcuno può sembrare uno stipendio elevato, ma va rapportato con l’impegno che questa attività prevede. I social vanno presidiati quasi 24 ore al giorno, quindi il CM non solo deve affrontare degli orari assurdi, ma deve essere reperibile anche nei festivi.
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