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Il reddito minimo garantito costa? Costa molto di più non averlo!

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Settimana scorsa è arrivata nella Redazione di Bianco Lavoro una lettera di una donna marchigiana, Loretta, (a cui abbiamo risposto privatamente) di cui riporto una parte: “ho potuto di recente finalmente tornare a cercare lavoro, mia zia mi ospita un paio di ore al giorno lasciandomi usare il suo PC e connessione. Per oltre tre mesi, senza un euro e con bollette arretrate, non avevo accesso al web che mi è stato sospeso. Ora con le email di offerte ricevute da voi mi sono candidata e fatto ben due colloqui di cui uno mi ha reso un contratto a termine con l'agenzia Manpower. Sono solo tre mesi per ora, ma un'ottima occasione per rimettermi in gioco. Vi ringrazio per non esservi dimenticati di me ed aver continuato a tenermi aggiornata.

Tempo fa, mi stavo occupando della selezione del personale per una grossa azienda sugli Appennini Emiliani, contattai Giuseppe, un montatore meccanico che era davvero idoneo per una delle posizioni, il posto di lavoro era molto fuori mano e non raggiungibile con i mezzi pubblici, ma sul CV c'era scritto “auto-munito”, quindi nessun problema. Quando lo contattai mi spiegò che dopo otto lunghi mesi da “disoccupato” la macchina era ferma, bollo ed assicurazione non pagati , niente soldi per la benzina e “fermo amministrativo” in prossimo arrivo. Era scoraggiato e depresso, non poteva andare nemmeno a fare il colloquio. Così lo accompagnai in azienda e risultò perfetto, poi il datore di lavoro gli fece un contratto di assunzione ed una lettera per la banca facendo in pratica da “garante” per un piccolo prestito di 1.200 euro per rimettere “in moto” l'auto e Giuseppe riprese a lavorare, saldò i debiti e tornò in pratica a “vivere”.

Donatella è una ragazza calabrese, tramite l'agenzia per il lavoro per la quale lavoravo, la avevo “piazzata” con successo in diverse posizioni da perito chimico in Emilia Romagna, finché una di queste non la assunse direttamente ed ebbe il meritato “tempo indeterminato”. Che poi tanto indeterminato non era, dato che in piena crisi e meno di un anno dopo l'assunzione fece parte dei “tagli del personale” e rimase disoccupata. Per lunghi mesi la proposi a molte aziende, ma senza successo. Nonostante fosse molto valida e con voglia di fare, il lavoro nel suo settore (e non solo a dire il vero) scarseggiava. Finché finalmente un'azienda presso la quale fece il colloquio molto tempo prima, non si fece viva, si tornava ad assumere. Evviva! La contattai al telefono per darle la buona notizia ma… le era finito il sussidio di disoccupazione e non era stata in grado di pagare i miseri 240 euro mensili di affitto per la stanza in condivisione che aveva… per questo l'avevano sfrattata ed era tornata dai genitori in Calabria. Mi chiese però di prendere tempo con l'azienda, uno o due giorni ed avrebbe cercato di organizzarsi. Fu di parola e meno di 48 ore dopo, percorso qualche centinaio di chilometri, era pronta a firmare il contratto. La madre le avevo prestato mille euro per “ricominciare l'avventura al Nord” (come la definiva lei…) ed un'amica le aveva dato disponibilità di un lettino nella sua cameretta finché non avesse trovato sistemazione.

Ho raccontato le storie di Loretta, Giuseppe e Donatella, cui sono venuto in contatto in modalità differenti nel corso degli anni. Queste tre persone hanno una cosa in comune, lo stato di disoccupazione le ha abbattute quasi completamente, si sono ritrovate ad un punto che consideravano “di non ritorno”, senza un solo euro ed impossibilitate addirittura a “cercare lavoro”. In tutti e tre i casi si sono potute risollevare grazie ad un piccolo aiuto… chi da parte della zia e della nonna, chi della mamma e di un'amica, chi come nel caso di Giuseppe del futuro datore di lavoro.

Di queste storie in tredici anni di lavoro nel settore delle Risorse Umane ne ho vissute decine, forse centinaia. E purtroppo in moltissimi casi nessun aiuto è arrivato, o non è stato sufficiente, trascinando una persona con voglia di fare e pronta a lavorare in uno stato di “inattività” totale e senza i mezzi necessari nemmeno per cercare un nuovo lavoro con un minimo di serenità.

Quando leggo, studio e sento parlare di “reddito minimo garantito”, quel piccolo “aiuto” di alcune centinaia di euro a disposizione di chi non lavora e che serve per non affondare completamente, mi vengono in mente tutte queste storie. Quante persone con appena 500 euro mensili per un po' di tempo di bisogno si sarebbero potute risollevare e ritrovare la dignità del lavoro e “rimettersi in gioco”? Quante Loretta, Giuseppe e Donatella se avessero potuto contare sul sostegno del proprio Stato si sarebbero risollevate più velocemente e meglio? Quanti sono coloro che non hanno avuto la fortuna di poter contare su amici e parenti (o l'aiuto non è stato sufficiente) ma che con poche centinaia di euro avrebbero potuto avere quel tanto per non perdere l'uso dell'auto, la connessione al web, la dignità di andare a fare un colloquio di lavoro, la possibilità di fare un biglietto del treno, il posto letto in doppia da fuori sede…?

Ascoltando i dibattiti di alto livello tra docenti universitari, politici di carriera ed anche super-dirigenti sindacali, mi rendo conto che per quanto possano essere ottimi professionisti nel loro settore di competenza ed avere eccellenti preparazioni accademiche ed economiche, molto difficilmente sono entrati in contatto in maniera diretta (o mai vi entreranno) con persone come Loretta, Giuseppe, Donatella e le centinaia di migliaia di persone che si trovano e si sono trovate nella loro situazione. Non gliene faccio certamente una colpa, ci mancherebbe, ma è chiaro che il discorso visto dal “di fuori” si appiattisce spesso su un “quanto costa?”, “ce lo possiamo permettere?”, “sarebbe bello, ma i costi sono elevati”, “sarebbe un bel segno di civiltà ma bisogna vedere se le casse dello Stato lo permettono”, etc…

Ed invece non credo che il punto sia il costo, il “reddito minimo garantito” deve essere visto come un “investimento”! Il vero costo è tenere improduttivi validi cittadini, ottimi professionisti, gente con voglia di fare, persone che con un aiuto da poco possono tornare ad essere orgogliosi del Paese in cui vivono e possono garantire l'applicazione dell'articolo 4 della Costituzione Italiana

 

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

La maggiore obiezione dei “contrari” al reddito minimo garantito è sempre la stessa “non possiamo permetterci di pagare chi non lavora. Mancano i soldi.”

A parte che sono convinto che tagliando seriamente gli “sprechi” i soldi per un reddito base si possano trovare in abbondanza (ma lascio questa parte all'ambito politico), ad ogni modo “finanziare” un disoccupato non vuol dire “spendere soldi”, ma investire per metterlo in condizione di tornare produttivo e non permettere mai a nessuno di “toccare il fondo” al punto tale da non potersi più risollevare (questo si che è un enorme costo per la collettività e non possiamo permettercelo).

Il “reddito minimo garantito” non deve essere visto come una “elemosina” o come un “aiuto fine a se stesso”, ma come un vero e proprio “investimento” da parte di uno Stato Virtuoso che rientrerà facilmente della spesa grazie alla produttività di chi è stato messo nelle condizioni base (peraltro previste dalla Costituzione) per restare in gioco e tornare a produrre attivamente.

Solitamente chiedo di commentare liberamente, stavolta invece lo pretendo! Voglio la vostra opinione e magari qualche esperienza concreta di chi con l'aiuto di poche centinaia di euro si è rimesso (o avrebbe potuto rimettersi se ci fossero state) in gioco.

 

editoriale di Marco Fattizzo, direttore di Bianco Lavoro

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