La notizia è di pochi giorni fa: tra gli assunti con il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, introdotto dal Jobs Act, ci sono stati i primi licenziamenti. Il fatto si è verificato a Tolmezzo, provincia di Udine, alla cartiera Pigna Envelopes. Tre operai, assunti lo scorso marzo con la nuova forma contrattuale prevista dal D.Lgs. 23/2015, sono stati licenziati a causa di un calo di lavoro dalla stessa azienda che li aveva assunti solo otto mesi fa, e che per farlo, in particolare relativamente ad uno dei tre, aveva usufruito, tra l’altro, degli sgravi contributivi previsti dalla precedente Legge di Stabilità, come precisato da Massimo Albanesi, segretario regionale della Fistel Cisl, a Il Messaggero Veneto. E’ in questo senso che è balzata immediatamente (e nuovamente) all’onore delle cronache la complessa relazione tra licenziamenti e Jobs Act.
Gli sgravi, lo ricordiamo, prevedono un esonero dai contributi previdenziali a carico del datore di lavoro privato nel limite massimo di 8.060 euro su base annua per l’assunzione di lavoratori che nel corso dei sei mesi precedenti l’assunzione, non abbiano avuto rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato o che nei tre mesi precedenti l’entrata in vigore della Legge di Stabilità, quindi da ottobre 2014, non abbiano avuto rapporti di lavoro a tempo indeterminato con il datore richiedente l’incentivo.
Ma tornando alla questione della relazione tra licenziamenti e Jobs Act e in particolare al caso avvenuto in provincia di Udine, non si può non restare stupiti: non solo per la fine di un rapporto di lavoro (a tempo indeterminato) tanto breve, ma soprattutto perché ad essere lasciati a casa sono stati i lavoratori assunti a tempo indeterminato e non quelli a tempo determinato.
Sull’episodio si è anche espresso il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, a margine di una conferenza stampa di pochi giorni fa, che, ai microfoni de Il Fatto Quotidiano, ha parlato di “scelta irrazionale”. Ma secondo Guglielmo Loy, segretario confederale Uil, intervistato sempre da Il Fatto Quotidiano, la scelta dell’azienda non è stata irrazionale poiché facendo la differenza tra quanto l’impresa ha risparmiato in forza degli sgravi contributivi previsti dalla scorsa Legge di Stabilità per l’assunzione di questi lavoratori e il costo sostenuto per indennizzarli dopo il recesso (che varia sulla base dell’anzianità) i licenziamenti dei tre operai si sono dimostrati convenienti a livello economico.
Bisogna infatti ricordare che con il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti non solo manca la tutela reintegratoria prevista dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, ma l’indennità spettante al lavoratore in caso di licenziamento può essere preventivamente calcolata dal datore, sulla base di alcuni criteri già predeterminati. Non c’è più alcuna discrezionalità del Giudice in merito al calcolo di questa somma.
La preoccupazione tra i sindacati che questa situazione possa replicarsi altrove è alta e alimenta i dubbi di chi si era mostrato scettico sin dalla prima ora sulla bontà della riforma. La mancata applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori per i neo assunti, la predeterminazione dell’indennità risarcitoria commisurata all’anzianità, insieme agli sgravi contributivi e fiscali introdotti con la precedente Legge di Stabilità (e previsti anche nella bozza di quella del 2016, il cui testo è stato licenziato ieri al Senato) rischiano di generare delle distorsioni.
E su eventuali storture derivanti dagli sgravi contributivi e fiscali per le aziende previsti dalla Legge di Stabilità 2015, Bianco Lavoro si era già interrogato e, avendo avuto l’occasione d’intervistarlo, aveva posto la complessa questione al noto giuslavorista Pietro Ichino, chiedendogli se gli sgravi fiscali e contributivi per le imprese previsti dalle Legge di stabilità 2015 per l’assunzione di lavoratori a tempo indeterminato avessero potuto favorire, ad esempio nell’avvicendamento di due imprese nell’ambito di un contratto d’appalto, la conferma di quelli precedentemente inquadrati con contratto a tempo determinato, anche se meno formati, rispetto a quelli assunti in precedenza con contratto a tempo indeterminato.
E il Senatore aveva paventato il rischio che casi del genere potessero verificarsi. Aveva aggiunto però che “chiunque sappia come funziona un’azienda sa che, se un lavoratore è competente e professionalmente affidabile, è difficile che uno sgravio contributivo temporaneo basti per fargli preferire un lavoratore meno competente e meno affidabile. Detto questo, è anche vero che qualsiasi incentivo economico temporaneo genera inevitabilmente delle marginali distorsioni. Occorre sempre valutare se il costo di queste distorsioni è accettabile, in rapporto ai benefici effettivamente conseguiti.”
Evidentemente a Tolmezzo gli sgravi contributivi e le norme del Jobs Act hanno giocato un ruolo decisivo nelle politiche aziendali, anche se in maniera diversa rispetto agli intenti del legislatore.
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