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Licenziamento per giusta causa: quando può essere fatto, come funziona, come impugnarlo

Il licenziamento per giusta causa sovviene quando il lavoratore ha dei comportamenti lesivi per il datore di lavoro. Ma esistono altresì possibilità di impugnarlo

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Un rapporto di lavoro può interrompersi prima della fine stabilita dal contratto per decisione di entrambe le parti. O salvo altri fattori come licenziamenti di massa, chiusura dell’attività, morte o infortunio che rende inabile il lavoratore. Quest’ultimo può inoltre decidere di abbandonare il lavoro: in questo caso si chiama dimissione. E comporta dei diritti e delle rinunce da parte del lavoratore. Mentre se l’interruzione parte dal datore di lavoro, allora si parla di licenziamento. In questa sede ci occupiamo di licenziamento per giusta causa.

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Il licenziamento negli anni

Inizialmente, la normativa che regolava il licenziamento nel codice civile prevedeva, come regola generale, la libera recedibilità dal rapporto di lavoro sia per il lavoratore che per il datore di lavoro. L’unica forma di tutela per le parti era rappresentata dal preavviso. La quale era anche ostituibile con un’apposita indennità economica. Un’eccezione, però, era ed è rappresentata dal licenziamento nei contratti a tempo determinato: in questo caso la libera recedibilità lasciava il passo alla possibilità di licenziare solo in presenza di una giusta causa.

Nel rapporto a tempo indeterminato, invece, negli anni varie leggi hanno limitato in maniera netta l’area della libera recedibilità mediante stringenti limiti sostanziali e formali. Quest’ultima è rimasta in vigore solo per determinate figure professionali: dirigenti, lavoratori in prova, lavoratori domestici, atleti professionisti e lavoratori over 65 con i requisiti per andare in pensione.

Cosa si intende per licenziamento con giusta causa

Per giusta causa in un licenziamento si intende qualsiasi causa che impedisca la prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro. In particolare, si riferisce alla condotta del lavoratore mediante la quale abbia messo in atto violazioni gravi degli obblighi contrattuali. Che abbiano pertanto portato a ledere in maniera irreparabile il legame di fiducia. Il licenziamento per giusta causa non prevede l’obbligo di preavviso, mentre diventa immediato e tempestivo.

Differenza con giustificato motivo soggettivo e oggettivo

Dobbiamo fare una distinzione tra licenziamento per giusta causa e licenziamento per giustificato motivo. Che peraltro può essere di due tipi:

  • Giustificato motivo soggettivo: avviene quando il lavoratore è venuto meno all’adempire determinati obblighi contrattuali di non scarsa importanza per gli interessi del datore di lavoro. Anch’esso deve essere tempestivo ed immediato. Ma rispetto al licenziamento per giusta causa, prevede l’obbligo di preavviso, i cui tempi sono prestabiliti dalla contrattazione collettiva.
  • Giustificato motivo oggettivo: è legato a motivi che riguardano l’attività produttiva o l’organizzazione del lavoro. Ciò che quindi lo differenza da quello soggettivo, è il fatto che il comportamento dannoso del lavoratore lede anche le esigenze tecnico-produttive e le scelte organizzative dell’impresa. Quindi non solo quelle del datore di lavoro. Possono poi essere prese in considerazione anche situazioni e vicende personali dei lavoratori. Come il venir meno della sua idoneità fisica al lavoro. Il datore di lavoro ha comunque l’obbligo di verificare prima che il lavoratore non possa essere utilizzato in altre posizioni equivalenti (il cosiddetto obbligo di repechage). Infine, anche il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è subordinato al preavviso.

Come impugnare un licenziamento per giusta causa

Il licenziamento per giusta causa può essere impugnato dal lavoratore qualora ritenga di aver subito un’ingiustizia. Può farlo entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la sua volontà.

L’impugnazione diventa inefficace se nei centottanta giorni successivi non è seguita dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano stati rifiutati o non si sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo, a pena di decadenza.

L’onere della prova della sussistenza della giusta causa è a carico del datore di lavoro, così come la prova dei requisiti dimensionali se rilevanti ai fini della tutela. Di contro, il lavoratore deve provare l’eventuale carattere discriminatorio del licenziamento impugnato.

La tanto discussa Legge Fornero del 2012 ha introdotto la possibilità per il datore di lavoro di revocare il licenziamento. Purché venga fatta entro quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazione del licenziamento. Il rapporto di lavoro viene così ripristinato e il lavoratore reintegrato ha diritto a percepire la retribuzione maturata nel periodo in cui è stato provvisoriamente licenziato.

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