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L’orario di lavoro e lo straordinario: norme e retribuzioni

L’articolo 3 del Decreto Legislativo n. 66/2003 prevede che l’orario di lavoro deve essere di 40 ore settimanali, ma i Contratti Collettivi di Lavoro possono prevedere questo limite come media tra periodi di maggiore e minore prestazione lavorativa, così come possono prevedere un orario fisso settimanale inferiore a 40 ore. Rientrano nell’orario di lavoro non …

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L’articolo 3 del Decreto Legislativo n. 66/2003 prevede che l’orario di lavoro deve essere di 40 ore settimanali, ma i Contratti Collettivi di Lavoro possono prevedere questo limite come media tra periodi di maggiore e minore prestazione lavorativa, così come possono prevedere un orario fisso settimanale inferiore a 40 ore.

Rientrano nell’orario di lavoro non solo i periodi di lavoro effettivamente prestato ma anche gli spazi di tempo nei quali il lavoratore rimane a disposizione del datore di lavoro.

L’art. 7 del Decreto Legislativo n. 66/2003 non prevede un limite massimo per le ore di lavoro giornaliere ma un riposo minimo di almeno 11 ore tra una giornata lavorativa e l’altra. In base all’art. 8 del Decreto Legislativo n. 66/2003, se l’orario di lavoro giornaliero è superiore a sei ore, al lavoratore spetta una pausa di almeno 10 minuti, salvo una pausa maggiore eventualmente prevista dal Contratto Collettivo di Lavoro. Come previsto dalla circolare n. 8/2005 del Ministero del Lavoro, i dipendenti che utilizzano in modo abituale per almeno 20 ore settimanali i videoterminali hanno diritto ad una pausa retribuita di 15 minuti ogni 120 minuti di lavoro continuativo, se non è prevista una pausa maggiore dal Contratto Collettivo di Lavoro. L’art.9 del Decreto Legislativo n. 66/2003 stabilisce che ogni sette giorni il lavoratore ha diritto ad un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive che, aggiungendosi al periodo di 11 ore giornaliere, costituisce in pratica una pausa di 35 ore.

Il successivo Decreto Legge n. 112/2008, all’articolo 41, ha precisato che “il suddetto periodo di riposo consecutivo è calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni”. In altre parole sarà possibile chiedere al lavoratore di prestare la sua opera ininterrottamente per un numero di giorni superiore a sette, ma comunque non oltre il dodicesimo giorno. Per esigenze organizzative o produttive il datore di lavoro può modificare, per i dipendenti a tempo pieno, l’orario di lavoro a suo tempo stabilito, così come può fissare orari diversi da un dipendente all’altro.

Orario di lavoro e retribuzione nelle festività

Quando una festività cade in un giorno della settimana previsto come lavorativo, il dipendente, salvo diverso accordo con il datore di lavoro o saldo diversa disposizione del Contratto Collettivo di Lavoro, ha diritto ad astenersi dal lavoro percependo la retribuzione. A tal proposito possiamo avere diversi casi: se il dipendente è remunerato con stipendio fisso mensile, la sua retribuzione non dovrà essere decurtata per la giornata di assenza dal lavoro; nel caso in cui è il remunerato con paga oraria, in aggiunta alla retribuzione per le sole ore di lavoro effettivo avrà diritto alla retribuzione corrispondente alla giornata festiva.

I Contratti Collettivi di Lavoro prevedono il pagamento, in aggiunta alla retribuzione ordinaria, delle festività che dovessero coincidere con la domenica.Quest’aspetto tuttavia non è una regola di carattere generale perché, ad esempio, il C.C.N.L. del settore Dirigenti di Aziende Industriali non prevede nulla in tale senso. Alcuni contratti Nazionali di Lavoro inoltre, come ad esempio quelli nazionali dei settori Industria Chimica e Autotrasporto Merci e Logistica, prevedono il pagamento della festività della Pasqua, pur essendo certa la sua coincidenza con la domenica.
In base all’art. 5 della Legge n. 260/1949, ai lavoratori pagati con stipendio fisso mensile nulla è dovuto per la festività che coincide con il giorno di riposo infrasettimanale, salvo diversa disposizione del Contratto Collettivo di Lavoro .
Al contrario per i lavoratori pagati in base alle ore effettivamente lavorate nel mese, in base all’art. 3 della Legge n. 90/1954, va pagata in ogni caso, in aggiunta alla retribuzione ordinaria, la festività che coincide con il giorno di riposo infrasettimanale.
I Contratti Collettivi di Lavoro stabiliscono la maggiorazione di retribuzione prevista in caso di prestazione di lavoro nelle giornate festive non compensata con altrettante giornate di riposo. Sono contemplati dalla Legge i casi di lavoro prestato nelle giornate festive dalle seguenti categorie: dai portieri e dagli addetti alle pulizie, che in base alla Legge n. 526/1956, hanno diritto a una maggiorazione del 40%; dai dipendenti da istituzioni sanitarie, che in base alla Legge n. 520/1952, hanno diritto a una maggiorazione del 100% se non fruiscono del riposo compensativo entro i trenta giorni successivi alla prestazione.

Prestazioni di lavoro straordinario

La maggior parte dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro prevede, entro il limite di un numero di ore annue, il diritto del datore di lavoro a pretendere la prestazione del dipendente a tempo pieno al di fuori dell’orario normale di lavoro.
Al lavoratore che si rifiutasse senza un motivo valido, potrebbero quindi essere applicate sanzioni disciplinari.
L’art. 4 del Decreto Legislativo n. 66/2003 stabilisce che la prestazione lavorativa non può superare il limite di 48 ore settimanali, inteso come media di un quadrimestre o come media di un eventuale periodo più lungo previsto dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro.
Come indicato dalla circolare n. 8/2005 del Ministero del Lavoro, annualmente a ciascun lavoratore può essere richiesta la prestazione in ore straordinarie fino al limite di 250 ore, se non è previsto un limite diverso dal Contratto Collettivo di Lavoro.
L’inosservanza dei limiti di legge per il ricorso al lavoro straordinario espone il datore di lavoro, oltre al rischio delle sanzioni previste, alla richiesta da parte del dipendente di risarcimento del danno biologico per le lesioni alla sua integrità psicofisica, come disposto dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 1307 del 2000.

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