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Negozi chiusi: Confesercenti lancia l’allarme

Dal 2011 ad oggi, hanno dovuto abbassare la saracinesca 76 attività commerciali al giorno. Una vera e propria “ecatombe” che, secondo Confesercenti, necessità di misure di contrasto mirate

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Il numero di negozi chiusi resta alto in Italia: a lanciare l’allarme Confesercenti che ha reso noti i dati dell’ultimo osservatorio relativo al 2015. Il bilancio tra le aperture e le chiusure delle attività commerciali si è confermato negativo per il quinto anno consecutivo, con ripercussioni particolarmente pesanti per i negozi che continuano a soffrire più dei bar e dei ristoranti.

negozi chiusi
image by CRM

Andando ai numeri: gli esercizi che nel 2015 hanno aperto i battenti sono stati 36.757, mentre quelli costretti ad abbassare la saracinesca 65.824. Il saldo negativo di 29 mila unità, in leggera flessione rispetto all’anno precedente (-34 mila), ha segnato il quinto calo annuale consecutivo. In pratica: dal 2011 ad oggi, il numero dei negozi, dei bar e dei ristoranti chiusi ha sempre superato quello delle attività aperte, delineando un quadro fortemente compromesso. Per dare un’idea della situazione, basti pensare che, in media, ogni giorno, hanno dovuto gettare la spugna ben 76 attività commerciali. E se la crisi ha coinvolto un po’ tutto il territorio nazionale, è in Sicilia (con un saldo aperture/chiusure pari a -16.432), in Lombardia (-14.347) e in Campania (-13.922) che si sono registrati i dati più preoccupanti. Mentre Roma è stata la città italiana con il maggior numero di esercizi commerciali chiusi, seguita da Torino e Napoli.  

Attività commerciali e pubblici esercizi non sono ancora usciti da uno stato di difficoltà che ormai dura da cinque anni – ha osservato il presidente di Confesercenti, Massimo Vivoli – La ripartenza dei consumi, che pure c’è stata, è ancora troppo recente e modesta per portare ad una rapida inversione di tendenza, anche se finalmente nel 2015 tornano a calare le chiusure di imprese. Preoccupa, però, la frenata di nuove aperture, bloccate dalla stretta del credito e dalla riduzione dei margini di impresa, erosi dalla crisi e da una fiscalità cresciuta quasi costantemente negli ultimi cinque anni”. Cosa fare allora? “Per mettere il settore in condizioni di ripartire davvero – ha spiegato il numero uno di Confesercenti – bisogna ridurre il peso che grava su negozi, locali e botteghe. Ma servono anche soluzioni nuove per un contrasto mirato alla desertificazione di attività urbane: la nostra proposta è introdurre affitti a canone concordato e cedolare secca per le imprese che aprono in uno degli oltre 600 mila locali ormai sfitti per ‘mancanza’ di attività in tutta Italia. Un intervento che ci aiuterebbe a difendere la vivacità dei nostri centri storici e a favorire il ripopolamento di negozi e botteghe”.

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