Martedì scorso, presso l’Università Bocconi di Milano, si è tenuto un evento sulla sharing economy, dal titolo “Sharing Economy e Social Innovation”, organizzato dall’Impact Investing Lab della SDA Bocconi School of Management, in collaborazione con l’associazione Altroconsumo. Nella prima parte dell’incontro è stata presentata la ricerca “Collaboration or Business? Collaborative consumption: from value for users to a society with values” condotta da Altroconsumo, in collaborazione con associazioni di consumatori del Belgio, del Portogallo e della Spagna e con l’ausilio di ricercatori universitari provenienti da vari paesi.
L’indagine, presentata da Eliana Guarnoni, si è focalizzata sul consumo collaborativo, sulle cosiddette transazioni peer to peer, ovvero tra pari (privati cittadini), e ha analizzato 70 piattaforme tecnologiche e un campione statistico di 8679 consumatori europei, di cui 2236 italiani.
La ricerca ha mostrato che l’equilibrio tra business e collaborazione varia da piattaforma a piattaforma. Sulla base di queste differenze, ne sono state identificate tre differenti tipologie: network oriented, che puntano a creare reti di user con stesse passioni e con un alto tasso di fiducia; transaction oriented, volte a facilitare scambi tra user e infine community oriented, tese a creare community con valori forti e attenzione alla sostenibilità.
Obiettivo dell’indagine è stato anche quello di misurare l’impatto economico, sociale e ambientale delle piattaforme di consumo collaborativo, elaborando un questionario. Purtroppo soltanto 26 piattaforme su un totale di 70 hanno compilato il questionario. Dalle risposte è emerso che le piattaforme sono efficienti e in grado di gestire molte transazioni anche con pochi dipendenti, e che preferiscono sistemi di governance accentrata, dove gli user non partecipano alle decisioni. L’attenzione all’ambiente invece resta più un proposito che un’attività concreta.
Indice
Perché i consumatori si rivolgono alle piattaforme?
Spostando l’attenzione sul campione di consumatori, nel report si legge che il 62% ha sperimentato servizi di sharing economy e che tra questi, alto è stato il grado di soddisfazione. Altro dato interessante raccolto è quello sulle motivazioni che spingono i consumatori ad utilizzare queste piattaforme: il principale è la necessità di risparmiare, il secondo è dettato da motivi pratici, tra cui l’adattabilità e la comodità dei beni e servizi offerti ai propri bisogni. Bassa la percentuale di chi pratica un consumo collaborativo per motivi solidaristici. Il più grande ostacolo alla partecipazione dei cittadini a questi servizi è la mancanza di necessità (63%) e di conoscenza (41%).
Solo un quarto del campione intervistato ha dichiarato di non utilizzare le piattaforme attive nel settore della sharing economy per mancanza di fiducia verso gli altri utenti. Un altro capitolo della ricerca è dedicato alle regole, nel quale è emerso che molte piattaforme dovrebbero prestare più attenzione alle completezza delle informazioni fornite sui loro siti web e che manca un sistema di diritti dei consumatori più calzante per questo tipo di fenomeni. Nonostante le opinioni dei consumatori sugli esperimenti di consumo collaborativo siano quasi tutte positive, c’è comunque un bisogno di regole più chiare, anche con riguardo ai diversi tipi di utenti. È infatti emersa la necessità di maggiore trasparenza sulla natura degli user. Resta importante distinguere tra consumatori e professionisti ai fini della normativa applicabile: quella del consumatore se entra in gioco un professionista, quella civilistica se la transazione avviene tra privati.
I modelli di business della sharing economy
E sull’esigenza di maggior trasparenza si è interrogato anche il panel successivo, dal titolo “I modelli di business”. È intervenuto il presidente della piattaforma di crowdfunding DeRev, Roberto Esposito, uno dei fondatori di Gnammo, Gian Luca Ranno, e il Public Policy Manager di Airbnb, Alessandro Tommasi. Tutte e tre le piattaforme utilizzano un modello di business basato sulla percentuale sul transato, trattenuta al momento del pagamento. Sul fronte business, tutti e tre i ragazzi hanno parlato di numeri in crescita, specialmente per Airbnb. Dal tema del profitto si è passati a parlare dell’impatto sociale di queste piattaforme: quello di Airbnb va cercato, secondo Tommasi, nella possibilità di aprire la casa ad altre persone, diffondere cultura e tradizioni, e anche aprirsi alle nuove tecnologie. Per Esposito, fondatore di DeRev, per avere un impatto sociale più dirompente le piattaforme di crowdfunding dovrebbero coinvolgere di più gli enti pubblici locali e attivare progetti territoriali con un impatto benefico sulla popolazione. Secondo Ranno l’impatto sociale più significativo che Gnammo genera è quello di redistribuire micro reddito tra le persone.
Nella seconda parte dell’evento sono intervenuti alcuni deputati firmatari della proposta di legge sulla sharing economy, Isabella Tentori, Ivan Catalano e Antonio Palmieri, la docente dell’università Cattolica di milano, Ivana Pais, Marta Maineri, fondatrice di Collaboriamo.org, oltre che Marco Pierani di Altroconsumo e Roberto Liscia, presidente di Netcomm. C’è un’esigenza di regolamentazione tra i fenomeni della sharing economy? Durante il dibattito si è cercato di dare una risposta anche a questa domanda. Se tra le piattaforme questa esigenza non è molto sentita, come testimoniato anche da un’altra ricerca, quella di Collaboriamo e di cui abbiamo parlato qui, per Altroconsumo e i deputati intervenuti c’è bisogno di una normativa per garantire una maggiore equità e trasparenza per i consumatori, e al contempo agevolare l’economia della condivisione.
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