dichiarazione stampa di Stefano Colli-Lanzi*
In occasione della festa dell’8 marzo, mi preme sottolineare che il tema della conciliazione dei tempi tra vita professionale e privata – in inglese il work life balance – non è un dibattito astratto ma una priorità del Paese sia da un punto di vista demografico che economico.
Prima di tutto demografico perché in IItalia il numero medio di figli per donna è attualmente di 1,41, insufficiente – in termini statistici – per garantire un naturale equilibrio demografico (2,1 figli).
Questo dato va peraltro “ridimensionato” se si pensa alle sole donne italiane, escluse quindi le donne con cittadinanza straniera, e si abbassa a 1,33. Le donne italiane fanno quindi pochi figli, anche perché c’è stato un innalzamento dell’età media al parto a 31,5 anni contro i 29,8 del ’95.
Un posticipo che è dovuto in gran parte alla difficoltà di trovare un proprio spazio nel mercato del lavoro, dove la maternità è ancora vista come un problema oggettivo1 e dove una diversa e più flessibile organizzazione del lavoro – che permetta di essere dei bravi genitori ed al contempo dei bravi professionisti – è ancora poco diffusa. In questo senso, apprezzo e sostengo l’impegno del Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi che, riunendo il Tavolo sulla conciliazione, punta al rilancio delle politiche di conciliazione attraverso un’evoluzione della contrattazione collettiva che deve farsi carico delle esigenze della famiglia sperimentando e implementando nuovi modelli organizzativi. L’assenza2 delle donne dal mercato del lavoro è un’allocazione non ottimale delle risorse da un punto di vista economico, visto che rappresentano ormai più della metà dei laureati, si laureano prima e meglio. Ed è ormai dimostrato che esiste una correlazione positiva tra tasso di occupazione femminile e tasso di natalità, perché dove la donna ha un’indipendenza economica ed una realizzazione professionale è più propensa a fare figli3.
Il progetto Moms@Work di Gi Group sta sperimentando – attraverso attività di formazione e consulenza a diverse aziende – modelli innovativi che trasformano il “problema” della maternità in un’opportunità di crescita per l’azienda stessa e per tutte le persone che lavorano in quel gruppo. Queste misure hanno dei costi di tipo amministrativo ed organizzativo di cui l’azienda non si può fare carico da sola, ma può affrontare solo se accompagnata in un percorso di crescita territoriale e socio-economica.
A questo proposito auspico il via libera definitivo all’art. 9 della L53/2000 e un approccio organico per rendere operativo l’art. 46 del Collegato lavoro, che delega al Governo la possibilità di implementare misure in materia di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego e di incentivi all’occupazione femminile.
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1 Il tasso di abbandono della vita professionale dopo la nascita di un figlio è, infatti, tra i più alti in Europa (27,1%) , riguarda quasi una donna su tre.
2 In base ai dati Istat 2011 le donne inattive, cioè quelle che sono fuori dal mercato del lavoro e non lo ricercano più attivamente perché scoraggiate, sono 9,6 milioni (48,6%) e le disoccupate circa un milione (9,8%).
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3 Ocse Family database ; Istat “Dossier Famiglia in cifre” 2010.
*amministratore delegato di Gi Group e Vice Presidente di Assolavoro