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Artigianato in crisi: oltre 21 mila imprese in meno in un anno

Secondo la Cgia di Mestre, l’artigianato italiano versa in cattive acque. E molti mestieri rischiano di scomparire

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“A differenza degli altri settori economici, l’artigianato è l’unica categoria economica che continua a registrare un netto calo delle imprese attive”: a dichiararlo il responsabile dell’ufficio studi della Cgia di Mestre, Paolo Zabeo, che ha lanciato l’allarme su scala nazionale. Stando ai calcoli dell’associazione, infatti, nel corso dell’ultimo anno (dal 2014 al 2015), il numero delle imprese artigiane attive si è ridotto di più di 21.700 unità (-1,6%), mentre dall’inizio della crisi nel 2009, l’emorragia ha coinvolto 116 mila attività (-7,9%). Numeri preoccupanti, che marcano una significativa differenza con le imprese non artigiane che, nel corso dell’ultimo anno, sono invece aumentate dello 0,5%.

artigianato
image by frankie’s

Le cause della disfatta

Ma cosa c’è alla base della crisi dell’artigianato italiano? “La caduta dei consumi delle famiglie e la loro lenta ripresa, l’aumento della pressione fiscale e l’esplosione del costo degli affitti ha spiegato Zabeo – hanno spinto fuori mercato molte attivitàsenza contare che l’avvento delle nuove tecnologie e delle produzioni in serie hanno relegato in posizioni di marginalità molte professioni caratterizzate da un’elevata capacità manuale. Ma oltre al danno economico causato da queste cessazioni – ha aggiunto il coordinatore dell’ufficio studi della Cgia – c’è anche un aspetto sociale molto preoccupante da tenere in considerazione. Quando chiude definitivamente la saracinesca una bottega artigiana, la qualità della vita di quel quartiere peggiora notevolmente. C’è meno sicurezza, più degrado e il rischio di un concreto impoverimento del tessuto sociale”.

Chi sale e chi scende

L’indagine dell’associazione ha messo in evidenza che i settori più colpiti, nel corso degli ultimi 6 anni, sono stati quello del trasporto (la percentuale delle imprese artigiane attive è calata del 16,2% corrispondente a 16.699 unità in meno) e quello dell’edilizia (-11,2% pari a 65.455 unità in meno), per non parlare delle creazioni artistiche (-12,7%) e delle attività manifatturiere (-11,3%). Per fortuna, le cose non sono andate male per tutti. Dal 2009 al 2015, infatti, le imprese artigiane che si sono occupate di pulizie, della cura del paesaggio e hanno fornito altri servizi alle imprese sono aumentate del 30,5% (+11.370); le attività cinematografiche e le imprese specializzate nella produzione di software sono cresciute del 19,6% (+1.998); le aziende di magazzinaggio e corrieri sono aumentate dell’8,3% (+217) e le gelaterie, rosticcerie e pasticcerie (e tutto il comparto della ristorazione mobile) hanno fatto registrare un incremento del 7,2% (+3.290). Performance positiva anche per le imprese artigiane che forniscono servizi alla persona (parrucchiere, estetiste ecc…) la cui percentuale è salita dell’1,5%.

Il Sud soffre di più

A livello territoriale, la crisi dell’artigianato si è fatta sentire di più al Sud (-10,1%), ma anche nel Nord-Est (-7,8%) e al Centro (-7,3%), mentre il Nord-Ovest ha fatto registrare la flessione più contenuta (-6,7%). Approfondendo l’indagine regione per regione, la perdita più pesante ha investito la Sardegna, che conta il 14,1% di imprese artigiane attive in meno rispetto al 2009, seguita dall’Abruzzo (-12%) e dalla Basilicata, dalla Sicilia e dalla Valle d’Aosta che hanno lasciato per strada l’11,1% di attività. Meno peggio è andata, invece, all’artigianato ligure (-4,6%), a quello laziale (-3,5%) e a quello del Trentino Alto Adige (-2,5%).

Mestieri a rischio estinzione

Basta così? Non proprio. L’ufficio studi della Cgia è, infatti, andato oltre stilando un lungo elenco dei mestieri più a rischio. Ovvero delle maestranze che, negli ultimi sei anni, hanno sperimentato la difficoltà di superare la crisi. Le imprese artigiane dei piccoli armatori hanno fatto registrare una flessione del 35,5%, ma le cose sono andate male anche ai magliai (-33,1%), ai riparatori di prodotti elettronici (-29,4%) e ai finitori di mobili come verniciatori e laccatori (-28,6%). A seguire i produttori di poltrone e divani (-28,4), i pellicciai (-26%), i corniciai (-25,7%), gli impagliatori (-25,2%), i produttori di sedie (-25,1%), i camionisti (-23,7%) e i falegnami (-23,2%). E ci fermiamo qui perché l’elenco è lunghissimo e coinvolge molti altri mestieri che, come denunciato dalla Cgia, rischiano l’estinzione. “Purtroppo – ha commentato il segretario dell’associazione, Renato Mason – ci preoccupa anche lo stato di salute di alcune professioni storiche dell’artigianato che ormai stanno scomparendo. Vuoi per le profonde trasformazioni che i rispettivi settori stanno subendo o per il fatto che i giovani non si avvicinano più a questi mestieri. I barbieri, i calzolai, i fabbri, i fotografi gli ottici o i corniciai, ad esempio, sono in via di estinzione e oltre a perdere saperi e conoscenze che non recupereremo mai più, la chiusura di queste attività sta peggiorando il volto urbano dei nostri paesi e delle nostre città”.

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