Dici caporalato e pensi ai tanti uomini (soprattutto stranieri) reclutati per svolgere lavori pesanti nelle campagne. Eppure il fenomeno del caporalato non coinvolge soltanto il cosiddetto sesso forte, ma anche le donne. Che, molto spesso, vengono preferite agli uomini perché più remissive e “gestibili”. Dell’argomento si è molto interessata la Flai-Cgil della Puglia che, in occasione della Festa del Lavoro, organizzerà domani a Mesagne (in provincia di Brindisi) un incontro dal titolo: “La condizione della donna in agricoltura. Tra caporalato e illegalità diffuse”. A parteciparvi sarà anche la presidente della Camera, Laura Boldrini, che incontrerà i familiari delle vittime del caporalato e le lavoratrici agricole depositarie di verità “scomode”.
Lavorare nelle campagne significa spesso lavorare in condizioni precarie. Che possono portare al più tragico degli epiloghi: nel solo 2015, i braccianti che hanno perso la vita in Italia sono stati 13. E le situazioni più difficili sono quelle rilevate in alcune regioni del Sud come la Puglia, la Campania e la Sicilia dove il numero di lavoratori agricoli irregolari non accenna a scendere. Accanto a quello maschile (di cui quasi sempre si parla), una particolare attenzione dovrebbe, però, essere destinata al caporalato al femminile. Che coinvolge le donne che, dalle prime ore del mattino, si mettono a disposizione di chi le porterà a lavorare nelle campagne. In molti casi, si tratta di un vero e proprio lavoro para-schiavistico, svolto nel completo dispregio dei diritti più elementari della persona. Una condizione che interessa tanto gli uomini quanto le donne, ma che nel caso di queste ultime può causare danni ancora più pesanti.
L’assoggettamento psicologico a cui, molto spesso, i braccianti irregolari vengono costretti compromette pesantemente la loro dignità. E in molti casi, fa perdere loro la capacità di comprendere quali sono i confini oltre i quali non si dovrebbe andare. La pressione esercitata dai “caporali” può essere tale da far accettare ogni tipo di sopruso. Lavorare ore intere sotto il sole cocente o in tendoni dove si respirano sostanze tossiche è una pratica sfortunatamente molto diffusa. E il più delle volte, si accetta di farlo per una paga che non si avvicina neanche lontanamente al minimo salariale che dovrebbe essere corrisposto. A “cascarci” – lo ripetiamo – sono tanto gli uomini quanto le donne, ma è il segmento femminile che può subire i “contraccolpi” più pesanti. Contrariamente a quanto si pensa, il caporalato al femminile è, infatti, “florido” tanto quanto (se non di più) quello maschile. Perché? Perché le donne appaiono più docili e remissive degli uomini e vengono, per questo, a loro preferite, soprattutto quando si tratta di occuparsi della raccolta di prodotti che richiedono una certa manualità.
E non possiamo trascurare l’aspetto più sinistro. Il ricatto a cui molte braccianti vengono sottoposte non è solamente psicologico, ma anche sessuale. La minaccia di essere reclutata solo se si accetta di soddisfare il desiderio del “caporale” è qualcosa che un numero non indifferente di donne (non necessariamente straniere, come si pensa) ha dovuto sperimentare sulla propria pelle. Con conseguenze evidenti sul piano fisico e mentale. Potrebbe sembrare la cronaca di uno sfruttamento che rimanda a situazioni che pensavano superate, ma le testimonianze riportate dalle dirette interessate e gli studi condotti dai vari osservatori ci dicono il contrario.
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