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Come evitare i conflitti al lavoro? Basta conoscersi meglio

Le minacce che arrivano dall’esterno portano, di norma, a mettersi sulla difensiva. Ma se in azienda ci si conosce a sufficienza, trattare risulterà più facile

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Più volte abbiamo detto che l’ambiente di lavoro è un microcosmo delicato, incardinato su relazioni che possono generare tensioni e frustrazioni. E’ compito del bravo leader quello di creare un ambiente disteso e collaborativo dove tutti gli ingranaggi della macchina concorrono a farla funzionare al meglio. Accade facilmente? Non proprio. Partiamo dal presupposto che ogni individuo è diverso dall’altro e che porta con sé un bagaglio di esperienze, competenze e inclinazioni che possono cozzare con quelle dei suoi colleghi. Per evitare che i conflitti al lavoro creino problemi seri (o, per rimanere sulla metafora della macchina, ne causino l’inceppamento), occorre disporre di una buona dose di conoscenza.

Cos’è l’effetto tribù?

evitare conflitti al lavoro

Sia che lavoriate per una grande azienda sia che facciate parte di un gruppo più ristretto, vi sarà senz’altro capitato di collaborare coi vostri colleghi. Fatta eccezione per i freelance – che lavorano, solitamente, in solitaria – tutti hanno dovuto sperimentare, almeno una volta, la difficoltà di negoziare e trattare in ufficio. Non è faccenda di poco conto. La tendenza dominante (veicolata anche da certi format televisivi) è quella di alzare costantemente la voce e di imporre il proprio punto di vista. A svantaggio del clima sereno che dovrebbe essere garantito per far sì che ogni membro del team lavori serenamente e in maniera proficua.

Ai conflitti che guastano i rapporti di lavoro (e non solo) ha dedicato un libro Daniel Shapiro, fondatore e direttore del Programma di Negoziazione Internazionale di Harvard. L’esperto, autore di “Negotiating the Nonnegotiable” (“Negoziare l’innegoziabile”, ndr), ha preso in esame (tra gli altri) il caso di alcuni dipendenti che lavorano in dipartimenti diversi. E ha marcato l’accento sul cosiddetto “effetto tribù” che porta (di norma) a preservare la propria dimensione professionale. In pratica: quando gli individui iniziano a farsi domande sul loro conto e prendono coscienza della loro identità al lavoro, possono diventare “conservatori”. E quando si sentono minacciati dall’esterno, tradiscono un attaccamento così forte alla loro “tribù” di appartenenza che tendono a fare di tutto (o quasi) per difenderla.

Più conoscenza, più armonia in azienda

Detta altrimenti: quando un addetto al marketing inizia a puntare l’indice contro le metodologie di lavoro adottate dagli esperti della comunicazione, in 9 casi su 10, lo stesso staff della comunicazione tende a “chiudersi a riccio”. E a mostrarsi impermeabile a qualsiasi forma di negoziazione o di confronto. E’ l'”effetto tribù” che si aziona ogni qual volta ci si sente messi in discussione e criticati (dall’esterno) e che porta fatalmente a mettersi sulla difensiva. Il risultato? Le relazioni vengono rovinosamente compromesse, le ostilità crescono, i fraintendimenti fioccano e le collaborazioni non decollano.

Per colpa di una reazione emotiva che porta i “duellanti” ad arroccarsi sulle loro posizioni e a considerare inopinabili i loro punti di vista. In situazioni come questa, il rischio è quello di ritrovarsi in un vero e proprio cul de sac. Come uscirne? Daniel Shapiro suggerisce di partire dalla conoscenza reciproca. Secondo l’esperto americano, per evitare conflitti che rischiano di arrecare seri danni all’azienda, occorre infatti fare in modo che tutti i dipendenti si sentano parte di un’unica squadra. E che siano informati su quello che fanno gli altri. La conoscenza (per quanto approssimativa) delle mansioni che spettano al collega della contabilità o all’addetto alle Pubbliche Relazioni può aiutare a demolire inutili e infondati pregiudizi e spianare la strada a confronti più sereni e produttivi. A tutto vantaggio dell’azienda e della gratificazione di ogni singolo lavoratore. “La conoscenza è un primo passo fondamentale – spiega Shapiro – Non bisogna mai cedere alla tentazione di pensare a un ‘noi contro loro’ perché può rivelarsi insidioso come la colla: il rischio è quello di non riuscire a venirne fuori”. 

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