Le cose non vanno certo bene, ma l’ultima rilevazione del Centro Studi di Confindustria (realizzata in collaborazione con Srm) si è sforzata di vedere il “bicchiere mezzo pieno”. Anche in quella zona del Paese – il Sud – in cui la situazione è notoriamente più compromessa e la ripresa stenta, più che altrove, ad arrivare.
Alcuni timidi segnali di miglioramento lascerebbero, infatti, spazio a un cauto ottimismo. A partire dal +0,8% del tasso di occupazione registrato nel primo trimestre del 2015, che ha segnato un avanzamento rispetto all’anno precedente e un significativo “cambio di passo” rispetto agli andamenti rilevati dal 2007 ad oggi. E a far ben sperare è anche la quota di cassaintegrati del Sud che, nel corso dell’ultimo anno, sarebbe praticamente dimezzata.
Qualche spiraglio si intravede anche nella galassia delle imprese meridionali, molte delle quali (oltre 226 mila, pari al 40,1% del totale), nel 2014, sono state guidate da giovani. A crescere è stato anche il numero delle imprese “in rete” (gli analisti di Confindustria e Srm ne hanno contate più di 2.800) e delle società di capitali (+5% in un anno) che si sono fatte sempre più “robuste”.
Focalizzando l’attenzione sul settore del turismo, l’analisi ha poi rilevato un aumento di oltre 700 mila presenze di turisti tra il 2013 e il 2014. Per lo più stranieri che hanno staccato un biglietto per la calda Sicilia, spendendo circa mezzo miliardo di euro in più. E a sorprendere – in positivo – sono stati anche i risultati raggiunti dall’industria della cultura che, nel Mezzogiorno, è cresciuta più che al Nord, per effetto dell’impegno dimostrato dalle 120 mila imprese attive sul territorio.
Ma non facciamoci troppe illusioni perché le buone notizie finiscono qui. La fotografia scattata dal Centro Studi di Confindustria ha, infatti, snudato zone d’ombra che continuano a impensierire analisti e osservatori. Il freno più grande alla ripresa del Sud del Paese è rappresentato dal calo degli investimenti, precipitati del 35% dal 2007 al 2014, con una perdita stimata in 28 miliardi di euro. Ma a mettere le ganasce alla riscossa del Mezzogiorno è stato anche l’export che, dal 2012, è sceso del 2,2%, lasciando per strada quasi 6 miliardi di euro. Le performance peggiori si sono registrate nel settore dell’acciaio (le cui esportazioni sono calate del 15,8% in un anno) e dei prodotti petroliferi (-18.9%), mentre a crescere sono state le esportazioni dei mezzi di trasporto (+17,3%) e quelle della meccanica (+11,4%).
E le previsioni non lasciano spazio a troppo ottimismo: i tecnici di Confindustria credono, infatti, che i ritmi di ripresa del Sud saranno più lenti di quelli del resto del Paese. Cosa vuol dire esattamente? Che il Mezzogiorno può sperare di tornare ai livelli pre-crisi solo nel 2025. Da qui l’appello rivolto alle istituzioni perché si facciano promotrici di una politica di coesione capace di velocizzare il processo di ripresa utilizzando, in maniera efficace, i fondi strutturali che potrebbero ridare slancio al tessuto produttivo e all’intera economia dell’area.
“Il primo passo, decisivo, spetta al Governo – si legge nella nota diffusa da Confindustria – che deve assumere, una volta per tutte, il tema della riduzione del divario meridionale come prioritaria opportunità e necessità di interesse nazionale. E, di conseguenza, indicare con chiarezza la soluzione dei numerosi elementi di incertezza su governance, priorità e disponibilità delle risorse della politica di coesione che si sono moltiplicati negli ultimi mesi, e che rischiano di comprometterne gravemente l’efficacia. Il tempo è poco – hanno fatto notare i tecnici di viale dell’Astronomia – e le speranze di ripresa del Mezzogiorno stanno tutte nella capacità di far partire, rapidamente, una politica che abbia davvero al centro le imprese”.
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