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File sharing su pc ufficio? La Cassazione respinge il licenziamento

Secondo quanto affermato dalla sentenza 2639/2013 della Corte di Cassazione, chi installa un programma di file sharing per poter condividere e scaricare file sul personal computer dell’ufficio non va incontro al licenziamento, poiché tale  provvedimento sarebbe del tutto “sproporzionato” rispetto al comportamento agito dal proprio dipendente. Il caso era inerente un dipendente che aveva installato …

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Secondo quanto affermato dalla sentenza 2639/2013 della Corte di Cassazione, chi installa un programma di file sharing per poter condividere e scaricare file sul personal computer dell’ufficio non va incontro al licenziamento, poiché tale  provvedimento sarebbe del tutto “sproporzionato” rispetto al comportamento agito dal proprio dipendente.

Il caso era inerente un dipendente che aveva installato il programma eMule sul pc del datore di lavoro, producendosi in download di varia natura. Secondo la società il dipendente aveva violato la policy aziendale mettendo “in serio pericolo la riservatezza dei dati sul pc, consentendo l’accesso di estranei allo stesso”. Tra le contestazioni anche il fatto che il dipendente aveva negato l’evidenza, ponendo così cessazione al rapporto di fiducia creatosi con il tempo.

La Cassazione, così come i giudici di primo e di secondo grado, hanno invece respinto il provvedimento, rigettando il ricorso dell’azienda. A nulla è pertanto valso il fatto che l’azienda non abbia autorizzato l’installazione del programma, né il fatto che l’azienda abbia valutato che l’utilizzo del software costituisca una violazione della policy aziendale: è infatti necessario provare l’effettivo danno (e non solo quello presunto) per il datore di lavoro, anche alla luce dei principi di proporzionalità del provvedimento disciplinare rispetto al comportamento del dipendente. Nella fattispecie in esame, hanno giocato un ruolo di favore per il dipendente il fatto che potesse esistere un back up dei dati aziendali, tale da evitare l’esposizione ai rischi di stabilità, attacchi informatici e, quindi, perdita del patrimonio dati dell’impresa.

In altri termini, quanto agito dal dipendente non ha generato un concreto danno all’azienda e non sarebbe stato produttivo di una definitiva cessazione del sentimento di correttezza e di buona fede che dovrebbe contraddistinguere il rapporto.

A conferma del fatto che il licenziamento è considerato un provvedimento “estremo” si dia altresì uno sguardo al recente parere espresso dall’avv. Francesco Magnosi, nella nostra sezione “L’esperto risponde”. Nella fattispecie esaminata, un dipendente era stato minacciato di licenziamento dal proprio datore di lavoro poiché, durante il periodo di malattia, era stato sorpreso a scrivere alcuni articoli per un proprio blog di poker online (i cui ricavi sono regolarmente dichiarati da posizione Iva sotto regime dei minimi).

Come ricordato dall’avv. Magnosi, il dipendente non ha violato alcuna norma, considerato che ha avuto l’accortezza di inviare regolare certificato medico, era costretto a letto da malattia insidiosa e, infine, ha svolto un’attività lavorativa non in conflitto di interessi con il proprio datore di lavoro, e in una maniera tale (utilizzo del Pc a letto) da non pregiudicare la guarigione della persona e il suo ritorno all’occupazione principale. In altri termini, lo svolgimento da parte del dipendente di altra attività lavorativa in malattia è vietato solamente se tale attività è tale da pregiudicare, ritardare o compromettere la guarigione.

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