La foodomica può aprire nuovi orizzonti sul rapporto alimentazione/salute, sulla prevenzione di patologie, modificando la strada con cui si arriva all’identificazione delle diete appropriate per ogni categoria di persone.
Fra le eccellenze di ricerca dell’Università di Bologna (il più antico Ateneo al mondo fondato nel 1088) uno spazio di rilievo spetta certamente al Campus di Scienze degli Alimenti e al CIRI Agro (Centro Interdipartimentale di Ricerca Industriale Agroalimentare) che si trova a Cesena, presso il locale Campus. Si tratta di un presidio formativo e di ricerca innovativa che non si trova a caso nella cittadina romagnola, ma risponde ad una precisa peculiarità del territorio, ricco di imprese di spessore nazionale ed internazionale, attive nel comparto agroalimentare.
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L’offerta formativa dell’Università di Bologna dedicata alle aziende
L’Università, quindi, tramite i propri organi, non solo mette a disposizione delle aziende percorsi formativi per profili professionali specializzati, ma cura attività di ricerca strategiche per l’innovazione di prodotto e l’ottimizzazione dei processi produttivi in tale settore.
In questo contesto risultano particolarmente interessanti le attività messe in campo applicando i principi della foodomica, ovvero lo studio degli alimenti attraverso le scienze omiche, quali:
- la genomica (insieme dei geni),
- la proteomica (insieme delle proteine),
- la microbiomica (insieme dei microbi e di ciò che i microbi stessi producono),
- la lipidomica (insieme dei grassi),
- la metabolomica (insieme dei metaboliti).
Si tratta di studi scientifici di grande importanza al fine di conoscere intimamente gli alimenti, fotografare la loro impronta digitale e individuare il loro effetto sul metabolismo dell’uomo. Va da se, quindi, che la foodomica può aprire nuovi orizzonti sul rapporto alimentazione/salute, sulla prevenzione di patologie, modificando in maniera decisa la strada con cui si arriva all’identificazione delle diete appropriate per ogni categoria di persone, rispetto alle conoscenze e ai metodi tradizionali.
Gli studi sulla Foodomica: la parola agli esperti
Proprio a Cesena si mossero i primi passi in queste tipologie di studi circa 15 anni fa, per merito del prof. Giuseppe Placucci, docente di chimica organica presso il Campus degli Alimenti e dei suoi collaboratori Francesco Capozzi (chimico farmaceutico ed esperto di definizione molecolare degli alimenti) e Alessandra Bordoni (medico e biologa, esperta di aspetti nutrizionali) con l’organizzazione, qualche anno più tardi (2009), del primo congresso internazionale sulla foodomica che riunì a Cesena esperti di tutto il mondo. Allora si definì in maniera inequivocabile che lo studio degli alimenti non poteva limitarsi alla composizione, ma necessitava di maggiori approfondimenti, specie a livello molecolare, per capirne gli effetti sulla salute.
La rivoluzione degli approcci tradizionali sulla nutrizione
“In effetti – spiega Francesco Capozzi – gli studi che stiamo facendo possono rivoluzionare gli approcci tradizionali sulla nutrizione e sulle diete, fino ad oggi basate su statistiche che prendono in esame, su campioni della popolazione, gli alimenti che assumono e lo stato generale di salute di quel gruppo di persone, per ipotizzare se esistono effetti nocivi o benefici di una dieta. Un criterio che presenta molti limiti, specie se pensiamo ai tanti casi di individui che mangiano in quantità ridotta e non riescono a diminuire il proprio peso e ad altri che, al contrario, si nutrono in abbondanza senza aumentare di un chilo. Successivamente gli studi nutrizionali hanno approcciato il concetto di dieta personalizzata, ovvero disegnata su misura sulla singola persona: una strada interessante ma poco praticabile perché è complesso ottenere informazioni capillari su singoli alimenti calati su singoli individui.
Con la foodomica cerchiamo di promuovere il concetto di alimentazione di precisione, individuando categorie di popolazione (bambini, anziani, donne incinta ecc…) e creando fenotipi metabolici: lo studio che facciamo sugli alimenti non solo evidenzia le caratteristiche dell’alimento stesso (genoma, proteoma, lipidoma, microbioma, metaboloma), ma prende in esame anche i meccanismi genetici che l’alimento stesso può attivare o disattivare una volta che viene ingerito nell’organismo umano. Sia chiaro il nostro genoma è fisso, ma il cibo introdotto può attivare o spegnere geni in esso contenuto. Le categorie di persone che individuiamo, quindi, sono classificate in base al proprio codice genetico e sull’interazione che può avvenire con l’ambiente esterno a cui siamo esposti, l’esposoma, di cui fanno parte anche gli alimenti: direi, anzi, che gli alimenti stessi sono il fattore esterno che più influenza il nostro organismo.
La branca della foodomica che approfondisce questi meccanismi è definita epigenetica nutrizionale, ovvero la scienza che studia i mutamenti temporanei a livello genetico dell’individuo, causati dall’alimentazione. La foodomica non trascura neanche la digestione, un passaggio fondamentale che separa l’ambiente esterno, rappresentato dall’alimento, e il trasferimento dell’esposoma all’interno del nostro organismo. In sintesi la foodomica rivoluziona lo studio dei cibi, in quanto non li classifica per tipologie o per singolo nutriente, ma ne analizza geni, proteine, metaboliti, microbi, grassi, proprio nella stessa misura con cui si analizza l’organismo umano. L’obiettivo di questi studi, quindi, punta alla definizione di alimenti funzionali ad ogni categoria umana precedentemente identificata”.
Quali applicazioni può offrire la foodomica
Questa visione in merito alla complessità degli alimenti apre orizzonti infiniti sulle applicazioni che la foodomica può offrire, in termini di ricerca e anche di innovazione di prodotto: in quest’ottica il CIRI Agro di Cesena svolge attività a supporto dell’industria agroalimentare italiana, accedendo a finanziamenti europei, ma anche nella forma di incarichi diretti, con sperimentazioni su prototipi di alimenti che, per propria composizione o per arricchimento molecolare, possano essere benefici per prevenire patologie come il tumore, abbassare il colesterolo o ridurre i rischi di malattie cardiovascolari.
Deve essere ben chiaro che, questi alimenti, non possono essere considerati curativi, ma unicamente preventivi. Alcuni esempi già realizzati riguardano un frappè di latte arricchito di antocianine, molecole colorate contenuta nell’uva rossa, a cui si può ascrivere il valore di ridurre il rischio di patologie cardiovascolari e un pancake (attualmente in fase di somministrazione sperimentale su un campione di persone sottoposte a controllo clinico), funzionale, anche in questo caso, a limitare i rischi delle medesime malattie. In pratica l’attività di ricerca e innovazione del CIRI Agro accompagna le imprese nella prototipazione degli alimenti innovativi, fino alla valutazione del livello di trasformazione dell’alimento stesso in un prodotto commerciabile, un aspetto identificabile tramite il cosiddetto T.R.L. (Technology Readiness Level), metodologia scientifica che misura i livelli di maturità di tecnologie, processi produttivi e prototipi.
“Per la propria peculiarità – conclude Capozzi – la foodomica è una scienza in cui confluiscono più professionalità, vista la complessità e la complementarietà degli aspetti che vengono presi in esame. Il nostro team è trasversale a 10 dipartimenti universitari ed è composto da circa un centinaio di esperti, fra cui nutrizionisti, microbiologi, chimici farmaceutici, zootecnici, chimici del suolo, tecnologi alimentari, agronomi, studiosi dell’ambiente e dell’economia circolare. Proprio sull’economia circolare vorrei esprimere un ultimo concetto: la formulazione di alimenti funzionali è in certi casi connessa anche con un ulteriore contributo alla sostenibilità, sfruttando la possibilità di arricchire un tale alimento con molecole cosiddetti nobili, contenute in sottoprodotti secondari della produzione agroalimentare, che altrimenti diventerebbero scarti e rifiuti con impatto sull’ambiente. Questo processo, quindi, lega in maniera decisa i valori della foodomica con l’utilizzo rispettoso delle risorse naturali, con minimi livelli minimi di spreco e, più in generale, con i concetti di basso impatto ambientale delle produzioni agroalimentari”.
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