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Fumo in azienda: i consigli dell’Inail

Il capo dovrebbe informare costantemente i suoi dipendenti sui danni e i rischi legati al tabagismo promuovendo iniziative tese a “convertire” i fumatori più incalliti

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Quella del fumo è una dipendenza da cui molti italiani non sanno affrancarsi. Neanche nel posto di lavoro dove, ca va sans dire, non è comunque consentito fumare. Ma il divieto di accendere una sigaretta in ufficio (o in azienda) non è sufficiente, almeno secondo l’Inail che ha dato vita a due pubblicazioni sull’argomento. La prima, “Se fumo…se smetto”, è un depliant che informa i lavoratori sui danni e sui costi del tabagismo; la seconda, “La gestione del fumo in azienda” è invece specificamente destinata ai datori di lavoro che dovrebbero proporsi come veri e propri “promotori della salute”.

fumo
image by Kopytin Georgy

“L’azienda – ha spiegato Tiziana Paola Baccolo, ricercatrice del Dimeila (Dipartimento Medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale dell’Inail) – oltre a far rispettare il divieto, deve effettuare l’informazione ai lavoratori sui danni da fumo attivo e passivo e può intraprendere programmi di promozione della salute che prevedano la partecipazione dei lavoratori a percorsi per smettere di fumare gestiti da personale qualificato”. In pratica, il capo non deve limitarsi a vigilare sulla “salubrità” del luogo di lavoro, accertandosi che a nessuno venga in mente di accendersi una sigaretta, ma dovrebbe favorire una politica di disassuefazione dal fumo fornendo ai suoi sottoposti continui aggiornamenti sui rischi e i danni che “le bionde” possono causare. Fuori e dentro l’azienda. E già perché, stando a quanto riferito dall’Inail, le prospettive dei lavoratori fumatori (specie dei più incalliti) non sono particolarmente rosee: rischiano di infortunarsi più degli altri e sono soliti assentarsi di più. Senza considerare le “controindicazioni” economiche: con i soldi spesi per comprare un pacchetto di sigarette al giorno, ci si potrebbe fare un pieno di benzina in 15 giorni o concedersi una vacanza di due settimane in un anno. Guadagnandoci in salute e in felicità. E a dissuadere i più “recidivi” potrebbero essere le sanzioni che vanno dai 27,50 ai 275 euro per i dipendenti e dai 220 ai 2.200 euro per i datori di lavoro.

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