Il Gip di Taranto Patrizia Todisco ha nuovamente negato il dissequestro dell’acciaio prodotto dall’Ilva, in un periodo in cui, stando al Gip, non avrebbe potuto farlo. Le 1,7 tonnellate di acciaio, per ora restano dove sono. La vendita del prodotto, dalla quale si potrebbe ricavare circa un miliardo di euro, ad adesso è ancora vietata. Quei soldi, aveva dichiarato Ferrante in occasione del precedente “no” al dissequestro, servono per pagare gli stipendi di febbraio degli operai e per applicare l’Aia. Il problema riguarda anche la stessa attività dello stabilimento, il quale, se chiudesse, provocherebbe con tutta probabilità una reazione a catena molto pesante, anche in termini di occupazione e non solo a Taranto.
Dalla sua però il Gip ha motivato la decisione negativa in maniera molto precisa: “Nessuna norma dell'ordinamento contempla la possibilità di una restituzione di beni sottoposti a sequestro preventivo – ha precisato il giudice – per giunta in favore di soggetti indagati proprio per i reati di cui i beni sottoposti a vincolo costituiscano prodotto, sulla base di esigenze particolari o dichiarazioni di intenti circa la destinazione delle somme ricavabili dalla vendita dei beni, che vengano ad essere dedotte dall'interessato”.Il prossimo step, e non ce ne saranno altri in mezzo, sarà la decisione definitiva della Consulta.
Non è quindi servita neanche la dichiarazione d’intenti del 22 gennaio scorso, quella in cui il ricavato della vendita dell'acciaio veniva vincolato al pagamento degli stipendi e al rispetto dell'Autorizzazione integrata ambientale. Una soluzione questa, suggerita da Nichi Vendola (e quindi ribattezzata Lodo Vendola), sulla qual però il Gip di Taranto aveva già dato parere negativo. Il presidente Bruno Ferrante, in occasione del precedente no allo sblocco delle merci, aveva ipotizzato la messa in cassa integrazione di 7000-8000 dipendenti, se il ricorso successivo (quello respinto ieri dal Gip) non fosse andato a buon fine.
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