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IoT e Industria 4.0: tanti nuovi posti di lavoro per chi ha competenze di informatica, matematica e fisica

In questo articolo vedremo che le tecnologie digitali, quelle che da anni sono alla base del funzionamento di app e siti web Internet, stanno invadendo il mondo della produzione e della manifattura.

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Sai cosa significano davvero le parole IoT, Smart Manufacturing e Industria 4.0? In questo articolo vedremo che le tecnologie digitali, quelle che da anni sono alla base del funzionamento di app e siti web Internet, stanno invadendo il mondo della produzione e della manifattura.

IoT e Industria 4.0

IoT e Industria 4.0: le professioni richieste sul mercato

Come sappiamo l’Italia è il secondo paese manifatturiero d’Europa, uno dei primi al mondo dunque, dopo la Germania, e ha migliaia di fabbriche più o meno grandi. In queste fabbriche ci sono sempre più opportunità di lavoro per programmatori, analisti e tecnologi proprio nei settori produttivi che una volta si definivano ‘tradizionali’. In particolare si va diffondendo la figura del cosiddetto Data Scientist, che vedremo in questo articolo cosa faccia esattamente.

IoT e Industria 4.0: intervista a Stefano Linari

Parliamo di tutto questo con Stefano Linari, un ingegnere geniale e lungimirante, fondatore di tante aziende e in particolare di Alleantia  che ha sviluppato e portato sul mercato la tecnologia che consente di mettere in Rete tutte le macchine che servono per produrre oggetti nelle nostre fabbriche. Una persona esperta proprio di Internet of Things e Industry 4.0.

Anzitutto, Stefano, partiamo con la definizione di industria 4.0, me la potresti dare tu?

Ce ne sono varie ma quella più chiara e che a me piace di più è questa: “industria 4.0 significa passare da una fabbrica controllata da chi è in produzione a una fabbrica connessa dalla produzione fino al management“. Significa che tutti hanno visibilità su tutto. Attenzione, questo non vuol dire più controllo ma vuol dire più collaborazione.

Qual è dunque l’aspetto che diversifica di più la fabbrica 4.0 dalla fabbrica attuale?

Innanzitutto va detto che nella fabbrica 4.0 c’è un uso pervasivo del dato il quale, visto che viene prodotto e poi trattato da altre macchine, può essere poi progressivamente arricchito sia di informazioni commerciali che di informazioni statistiche. Fino ad arrivare a poter leggere nei dati l’impiego effettivo della migliore macchina nella migliore condizione.

E’ proprio in questo modo che si cerca di far funzionare le fabbriche, o meglio le varie macchine che le compongono in generale. Non è detto infatti che, se la fabbrica non è tutta connessa, allora non vada bene. Si può partire da una macchina o da una singola linea e progressivamente espandere l’ambito di interconnessione a tutta la fabbrica.

Anzi normalmente si fa proprio così: si parte con la connessione di una singola linea di produzione per piano piano arrivare ad avere tutta la fabbrica interconnessa.

Questa domanda mi serviva per far capire lo scenario nuovo che si apre nel mondo produttivo e dunque le nuove possibilità di occupazione ad esso collegate. Si parla molto del fatto che ci sono dei lavori che spariscono a causa dell’automazione ma si tace che ci sono tanti nuovi lavori che si creano proprio grazie alla stessa automazione. Dunque mi sai dire che tipo di occupazioni l’automazione toglie e che tipo di nuove occupazioni invece l’automazione crea?

Se io automatizzo qualcosa che faccio fare ad una macchina o a un robot sicuramente ci vorranno meno persone che fanno quella stessa attività. Viceversa tutti i dati che queste macchine o robot producono, e che non sono mai stati analizzati, necessitano di persone che certamente debbano capire di produzione – perché non si parla di dati statistici avulsi dal contesto industriale, tutt’altro – ma che siano dotate anche di capacità e strumenti nuovi che permettano loro di analizzarli.

Con l’industria 4.0 e con l’automazione le persone che un tempo sapevano fare, dovevano fare e che venivano misurate col numero di pezzi prodotti nella giornata di lavoro oggi hanno il compito di orchestrare la macchina, che fa quello che loro facevano prima direttamente, insieme alle richieste dei loro clienti, alla disponibilità dei materiali e alla disponibilità delle altre macchine nella stessa linea affinché quella stessa macchina lavori al 100% delle sua efficienza. Si deve lavorare cioè sull’OEE (Overall Equipment Efficiency che non vuol dire che se ho la macchina velocissima automaticamente ho il 100% di OEE perchè può succedere che la debba tenere spenta perchè magari ho pianificato male l’arrivo della materia prima.

Avere la disponibilità in tempo reale delle macchine implica dunque tutta una nuova serie di sfide tecnologiche che vanno ben oltre il ‘just in time’, tanto che in certe aziende anche un solo minuto di ritardo di disponibilità delle macchine già è un problema. In Bosch Powertrain Solutions, per esempio, hanno costruito una sorta di ‘supermercato interno’ in cui la ‘produzione’ va a comprare materiale dal ‘magazzino’ che, grazie agli strumenti di rilevazione in tempo reale inseriti nelle linee di produzione, deve essere in grado di prevedere la domanda e far trovare già i cestini di materiale pronto quando servono.

C’è dunque una serie di figure professionali nuove che prima non esistevano: per esempio chi poteva mai gestire, prima dell’avvento di questo nuovo sistema di produrre, il ‘magazzino interno’? Adesso occorre lavorare con logiche predittive della domanda sapendo come lavora la fabbrica e sapendo cosa ordinano i clienti. La figura del data scientist in quanto tale è un oggetto più mitologico dell’unicorno, non esiste. Esiste invece un ingegnere della produzione che sa usare degli strumenti di analisi piuttosto che un matematico a cui viene affiancato un ingegnere della produzione.

E’ bello il caso di Brembo, la famosa azienda leader mondiale nei freni ad alte prestazioni che è nostro cliente, che quando ha iniziato a digitalizzare la produzione – 14 stabilimenti nel mondo – alla prima macchina connessa ha subito assunto due data scientist, tre anni fa, che poi hanno iniziato a crescere in numero tanto che hanno dovuto creare un nuovo ufficio per contenerli tutti. In Brembo la quantità di dati che viene generata richiede un ufficio apposta per l’analisi e per mettere in condizione il resto dell’azienda di fruire di quei dati. Il dipartimento informatico interno all’azienda si è diviso nella parte Industria 4.0 o IoT.

Il data scientist, l’unicorno di cui parlavi, che tipo di formazione dovrebbe avere?

Sono matematici o informatici che però vengono sempre affiancati da qualcuno esperto nelle tecnologie produttive: coloro che prima facevano funzionare le macchine, che adesso funzionano da sole perchè ci hanno messo un robot davanti, devono aiutare i giovani matematici, fisici o informatici a interpretare i dati, a cercare modelli perché un automa dotato di intelligenza artificiale prima di riuscire a prevedere qualcosa deve averlo visto almeno una volta. Sicuramente è impossibile fare progressi se a fianco del matematico o fisico non c’è un ingegnere esperto della produzione che sia in grado di riconoscere i problemi da risolvere e che sia capace anche di indicare al matematico o fisico cosa cercare nel mare magno dei dati per associarlo al problema da risolvere e trovare il modello che lo descrive.

Come trovare una correlazione che ragionevolmente dipenda da questo tipo di parametri? Chi sa di matematica e di intelligenza artificiale magari non sa come si tornisce un disco dei freni. C’è dunque spazio di collaborazione tra chi sa fare dischi dei freni e che magari ora ha un robot che gli carica e scarica i pezzi, lavoro che dunque non deve più seguire lui direttamente, e figure nuove. Così può avvenire anche il ricollocamento di certe professionalità dando loro un po’ di strumenti che servano a colloquiare con questa nuova figura aziendale, il data scientist appunto. Cosa molto utile per tutti.

Tutti questi dati che le macchine producono sono sufficienti a una singola azienda per capire cosa sta succedendo alla sua linea di produzione oppure serve altro?

Una macchina semplice ‘produce’ tra un gigabyte e un gigabyte e mezzo di dati ogni mese però se cerchi di capire tramite deep learning cosa fanno queste macchine la prima connessione che esce è che ‘stranamente’ la mattina tra le 8 e le 8 e mezza partono e la sera verso le 6 smettono. Magari si sono spese tante ore di calcolo per arrivare a questa grande considerazione, e infatti non funziona così, non c’è la bacchetta magica. Devi dire alle macchine dove cercare e per fare ciò serve appunto un tecnologo che deve lavorare insieme al data scientist.

Tu come sei arrivato a fare queste cose? Da dove parte la tua esperienza professionale?

Io sono un ingegnere nucleare, ho lavorato al CERN  nei primi anni 2000, poco dopo l’invenzione del Web, dove ho usato le tecnologie Internet e dove abbiamo sviluppato tecnologie Internet of Things (IoT) web based già nel 2002-2003. Tieni conto che il Web è nato al CERN e loro sono stati i primi a utilizzarlo per quella tecnologia.

Quando sono uscito dal CERN mi sono occupato di automazione industriale, con la società Linari Engineering e nel 2009 ho avuto l’idea – nel 2011 ho trovato i soldi – per fondare Alleantia, per fare cioè una società che facesse IoT ovvero che mettesse insieme il mondo dell’automazione industriale con quello delle tecnologie Internet.

So che la tua azienda, Alleantia, è in forte crescita. Mi sai dire che tipo di persone lavorano nella tua azienda? Che professionalità ci vogliono per fare le cose che dici?

Abbiamo programmatori, perchè anche se non siamo una software house chiaramente il software va scritto, ma abbiamo anche persone esperte di dominio, quindi abbiamo persone che vengono dall’automazione industriale, come me, abbiamo persone che vengono dal business development dei macchinari industriali, abbiamo persone che vengono dalle telecomunicazioni, ovvero professionalità che servono per affrontare tutti i problemi che nascono quando vuoi portar via un dato da un posto e metterlo in un altro in maniera sicura.

Abbiamo tecnici elettronici e tecnici elettrotecnici per fare le integrazioni e il supporto alle macchine dei clienti che dobbiamo connettere. Non può essere trascurato il marketing e la comunicazione perché fornendo un prodotto abbastanza tipico, quasi unico sul mercato, il prodotto va spiegato bene.

Ecco la domanda chiave, scusa se non te l’ho fatta prima: Alleantia esattamente cosa fa?

Alleantia è una software house che ha sviluppato un software che gira ‘on edge’, quindi all’interno di computerini industriali messi in prossimità delle macchine industriali – non in cloud quindi, e che dunque è in grado di estrarre i dati da pressoché tutte le macchine industriali presenti almeno in Europa e metterli in un database o in un cloud in meno di due minuti senza scrivere una linea di codice, semplicemente configurando una piccola interfaccia web molto simile a quella che si usa per configurare il router di casa.

Questo siamo in grado di farlo perché abbiamo fatto una libreria di driver industriali che ad oggi è la più grande del mondo e che ci fa stare tra i primi 12 vendor di tecnologie IoT  industriali al mondo secondo Gartner.

Sappiamo che l’Italia è un Paese manifatturiero, e anche se la tecnologia che sta dietro all’Industria 4.0 è una tecnologia comune a tanti paesi del mondo – tanto è vero che molti tuoi clienti sono esteri – mi viene da pensare a cosa potrebbe succedere all’industria italiana una volta che le tecnologie di cui abbiamo parlato diventino diffuse in tutte le fabbriche del nostro Paese. Ci sarà solo grande ottimizzazione e aumento dell’efficienza oppure potrebbe succedere dell’altro? Altre opportunità di business? Altre tipologie di aziende?

Secondo me ci sono due modalità in cui si applica l’IoT:  la prima è quella legata alla creazione della Smart Factory (Smart manufacturing), la fabbrica intelligente, con cui cerchi di contrarre i costi ottimizzando i processi che hai sempre fatto. La seconda modalità è quella degli Smart Product, ovvero sempre una smart factory ma che produce anche prodotti intelligenti.

In questo secondo caso vai ad aumentare la prima linea del bilancio, i ricavi, perché puoi vendere servizi oppure prodotti a più alto valore aggiunto.

Oggi, grazie alla legge dell’ex ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, c’è un grande incentivo, di tipo fiscale – il superammortamento, a digitalizzare la produzione per aumentare l’efficienza riducendo i costi (Industria 4.0). Invece non c’è nessun vantaggio fiscale, quindi nemmeno di tipo psicologico, a investire nei ‘prodotti intelligenti’. Tieni conto che solo il 30-40% degli aventi diritto ha chiesto il superammortamento per la digitalizzazione della produzione, quindi possiamo parlare di un incentivo psicologico a investire. Per gli smart products non c’è stato questo.

Faccio un esempio di smart product: noi abbiamo un cliente che vende segatrici a nastro per acciaio. Ha digitalizzato la produzione, mette i suoi dati sul cloud, Azure di Microsoft, e adesso vuole smettere di vendere le segatrici e vuole iniziare a vendere i mq di acciaio tagliato. Sapendo quanta lama e quanto olio consuma la sua macchina, sarà in grado di fornire al proprio cliente tutto quanto. Il suo cliente smetterà di preoccuparsi di comprare la manutenzione, l’olio, le lame e le segatrici. Il cliente sceglierà la macchina da usare – fino a 1 milione di mq all’anno questa macchina, fino a 2 milioni di mq all’anno quest’altra macchina – e riceverà garanzia dal fornitore che lui, cliente, potrà segare il metallo senza problemi.

L’ex venditore di segatrici si preoccuperà lui di curare manutenzione, sostituire le lame, risolvere i problemi del cliente finale quando si presenteranno. Quando la macchina non funzionerà più sarà il fornitore a sostituirla. Sarà venduto dunque il servizio (i mq di taglio) e non più il prodotto (la segatrice). In realtà già il cliente vende così: lui compra asset (la segatrice) e rivende servizi (metallo tagliato). L’innovazione è poter comprare esattamente come già vendi. Pensa a un tassista: lui compra un’auto e poi fa pagare la corsa del taxi al cliente. Sicuramente apprezzerebbe poter comprare l’auto (un tot a km percorso) nello stesso modo in cui la vende (un tot a corsa effettuata).

Con l’IoT si riesce a ‘servitizzare’ (a vendere come servizio) anche il prodotto. E’ questa la grande innovazione, la vera svolta e in questo noi Italiani, con la fantasia e il guizzo che ci contraddistingue, possiamo fare la differenza. Non ti aspetti certo che la ‘servitizzazione’ la faccia prima un tedesco di un italiano!

Secondo te anche un’azienda piccola riesce a trarre vantaggio dall’innovazione portata dalla diffusione delle tecnologie IoT oppure queste sono cose riservate alle aziende di maggiori dimensioni?

Noi abbiamo riscontrato un cut-off. La maggior parte delle aziende che digitalizza il proprio processo ha un fatturato attorno ai 30 milioni di €. Questo perchè chi è sotto quella soglia ha si i mezzi finanziari ma non ha le persone: hanno un problema di competenze, non hanno una risorsa interna che possa fare solo quello. E reperire quelle competenze è ancora più difficile. Pensa che Bosch ha creato un’accademia in cui per un anno paga la formazione di 20 ‘talentuosi’ per ovviare alle mancanze del recruiting. Attraverso il recruiting non li trovano e allora se li formano in casa. Alla fine del corso 10 restano in Bosch e gli altri 10 trovano impiego in altre aziende. Per Bosch è un percorso obbligato per poter avere quei 10 ogni anno. C’è fame di queste competenze.

Anche in Italia c’è tantissima domanda di queste competenze. Noi conosciamo tante aziende che ricercano giovani che “sappiano” di industria 4.0, quindi che sappiano un po’ di ingegneria, un po’ di informatica, dei profili ibridi per cui le scuole non hanno ancora un’offerta formativa adeguata.

Segnalo che la Regione Toscana ha fatto un corso, completamente finanziato da lei, su Tecnologie e Industria 4.0, in cui faccio il docente. Gli imprenditori che partecipano non pagano nulla, quindi la cosa è comunque meritoria. Quello che ho visto è che ci sono molte aziende sotto la soglia che dicevamo prima (ovvero con fatturato tra 1 e 3 milioni di €) che hanno un gap culturale veramente elevato. Concetti che in un’azienda un po’ più grande e strutturata sono scontati – magari perchè hanno persone che vanno a congressi o leggono riviste – in queste aziende sono proprio mancanti anche per lacune degli imprenditori stessi.

Queste aziende hanno bisogno di nuove figure professionali che possano entrare in azienda oppure di nuove leve di imprenditori.

Come portare queste conoscenze lì dentro è un bel problema. Tieni presente che un’azienda di questo tipo, finanziariamente sana, che ora si compra e mette in produzione macchine che costano milioni di euro ma che non possiede queste conoscenze rischia, nel giro anche di un paio d’anni, di essere come quegli artigiani che anni fa incollavano le suole delle scarpe con pennello, colla e chiodi: fuori mercato. Tagliata fuori dalla competizione per via della mancanza di competenze digitali.

Ritorno di nuovo a parlare di Brembo per raccontarti che loro, grazie alla digitalizzazione, sono in grado di avviare la produzione in uno stabilimento che sta dall’altra parte del mondo esattamente come se fossero accanto alla macchina: con occhiali a realtà aumentata l’operatore può seguire per filo e per segno le istruzioni di uso anche se quell’operazione è totalmente nuova per lui, oppure attraverso il virtual training istruiscono in anticipo l’operatore così che quando si troverà davvero ad operare sulla macchina sarà più sicuro di non fare danni e fare l’operazione correttamente.

Prima di assemblare realmente un freno, che se sbagli ammazzi qualcuno, per la prima settimana di lavoro assembli il freno nel simulatore usando gli ologrammi con il caschetto. Prima si fa usare la realtà virtuale – dove gli oggetti reali nemmeno li vedi – poi si fa usare la realtà aumentata – dove gli oggetti reali li vedi e li tocchi ma con l’ausilio di disegni e ologrammi che ti insegnano a fare l’operazione indicandoti sull’oggetto reale dove mettere la chiave, quale coppia di serraggio usare e così via e infine dopo un addestramento di una settimana inizi a produrre davvero facendo davvero l’operazione con gli oggetti reali.

Tra l’altro l’azienda che è fornitore di Brembo per queste tecnologie è la Desys di Viareggio, un’azienda della nostra area, e altra cosa notevole è che queste tecnologie costano pochissimo. Molte aziende se le potrebbero permettere (avendo le competenze per gestirle) perché il costo è nell’ordine delle migliaia di euro. Così come il nostro software, di cui parlavo prima, costa meno di 1000 euro. Le tecnologie ci sono, non è fantascienza, e costano relativamente poco. Quel che manca è la conoscenza e la professionalità. Non puoi pensare che un cinquantenne / sessantenne impari facilmente tutta questa roba.

Occorrono risorse giovani formate opportunamente che debbono essere inserite in azienda.

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