Gli stipendi italiani sono sotto la media europea (e ultimamente rischiano anche di arrivare a rate). A dirlo è l’Istat, che ha presentato i dati dell'ultima rilevazione, effettuata a ottobre 2010. Secondo l’Istituto di statistica la retribuzione oraria lorda in termini nominali è di 14,5, contro i 15,2 della media Ue. Cifre inferiori di oltre il 14% rispetto, ad esempio a quelle della Germania. Non è lei però, in questo caso, a fare la parte del leone. I valori più elevati infatti sono stati registrati in Danimarca, dove la retribuzione oraria è praticamente doppia rispetto a quella italiana (27,09 euro), seguita da quella media dell’Irlanda (22,23 euro) e del Lussemburgo (21,95 euro).
I dati si riferiscono a due anni fa, in quanto la rilevazione, che tiene conto delle diverse variabili a livello europeo, viene effettuata ogni quattro anni. Oltre alle differenze a livello europeo, l’Italia è caratterizzata anche da scarti significativi tra retribuzioni a livello nazionale. Una donna guadagna in genere meno di un uomo, in una percentuale superiore al 21% , anche se tale percentuale si abbassa se viene depurata dal numero di ore retribuite. Un uomo infatti viene mediamente pagato per più ore (1876) rispetto ad una donna (1620), ma anche così, resta uno scarto del 10% (16,7 euro per gli uomini, 15,3 per le donne)
Un’altra differenza significativa è quella esistente tra lo stipendio dei dirigenti e quello dei lavoratori non specializzati. Il primo è in media più di quattro volte il secondo (81.649 e 18.290 euro), creando così uno sbilanciamento a favore dei primi (che però è scontato abbiano uno stipendio significativamente più alto) . Scarto “doppio” invece tra laureati e occupati che si sono fermati alla scuola dell’obbligo (42.822 euro l'anno, rispetto ai 19.296). Le enormi difficoltà dei laureati a trovare un impiego stabile quindi non influenzano più di tanto la consistenza della loro retribuzione, una volta raggiunta la stabilità. Lo stipendio di un laureato che lavora in Italia però, risulta essere più basso rispetto a quello di un “pari grado” di molte altre nazioni europee.
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