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La criminalità costa cara ai commercianti: quasi 21 miliardi di fatturato in fumo

Gli imprenditori italiani non sono particolarmente soddisfatti di quello che lo Stato fa per metterli al riparo dai fenomeni dell’illegalità. E per questo, sempre più spesso, scelgono di organizzarsi privatamente

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L’indagine presentata ieri da Confcommercio – in occasione della Giornata di mobilitazione nazionale “Legalità mi piace”, tenutasi a Roma – ha consegnato uno spaccato preoccupante dell’economia reale del nostro Paese. Fatta di commercianti che percepiscono una crescita del livello di illegalità che “attenta” ai loro profitti. Non solo: stando a quanto appurato da Confcommercio (che ha commissionato lo studio ad Eurisko), la quota di imprenditori del commercio che hanno ricevuto minacce o intimidazioni da parte della criminalità organizzata resta alta. Mentre la montante disillusione per le misure punitive messe in campo dallo Stato spinge molti commercianti (specialmente del Nord-Est) a organizzarsi da soli e a potenziare, privatamente, gli strumenti di auto-difesa.

illegalita

L’indagine, realizzata nello scorso mese di ottobre, ha coinvolto un campione di 900 imprese del commercio, del turismo, dei servizi e dei trasporti in tutta Italia. Il 51% degli imprenditori interpellati sui temi dell’illegalità ha dichiarato di aver percepito un aumento del fenomeno dell’abusivismo, il 47% ha invece indicato i furti, mentre il 44% ha puntato l’indice contro la contraffazione. A seguire le rapine, percepite in crescita dal 37% degli intervistati; l’usura (indicata dal 16%) e le estorsioni (segnalate dal 14%). Fin qui le percentuali, ma Confcommercio ha tentato di “monetizzare” il danno e, stando ai calcoli fatti, l’abusivismo, la contraffazione e il taccheggio – che si sono guadagnati i primi tre posizionamenti, nella poco lusinghiera classifica dell’illegalità percepita – avrebbero mandato in fumo, nel 2016, 20,8 miliardi di euro.

Minacce ed estorsioni: in molti cedono

Ma c’è di più: l’indagine ha rilevato che un imprenditore su dieci ha dichiarato di aver ricevuto minacce e intimidazioni estorsive, mentre uno su 7 ha riferito di conoscere colleghi che sono stati minacciati. Tra esperienze dirette e indirette, la percentuale dei commercianti italiani che hanno dovuto fare i conti con le “richieste” della criminalità organizzata resta invariata, a livello nazionale, rispetto all’anno scorso (16%), ma cresce al Sud dove raggiunge il 38%. Scendendo ancora di più nei dettagli: gli imprenditori coinvolti nell’indagine hanno precisato che, nel 77% dei casi, si è trattato di “semplici” pressioni psicologiche (hanno ricevuto telefonate o visite nei loro negozi) e hanno confessato che il 61% di loro ha ceduto all’estorsione (è successo, con maggiore frequenza, al Sud).

Quanto al generale sentimento di sicurezza, i livelli rilevati non incoraggiano a farsi troppe illusioni. L’86% del campione intervistato ha, infatti, dichiarato di considerare le leggi che si prefiggono di limitare i danni causati dall’illegalità inefficaci e l’89% ha chiesto un inasprimento delle pene. Non solo: per l’85% degli imprenditori italiani coinvolti nell’indagine, le pene comminate a chi viene colto in flagranza di reato non vengono scontate (lo pensano soprattutto i tabaccai e i commercianti del Nord-Est). E quindi? Molti di loro scelgono di organizzarsi da soli e di rafforzare gli strumenti di difesa che possono metterli al riparo dagli “attacchi” della criminalità. Nel dettaglio: il 52% del campione ha dichiarato di aver installato o potenziato le telecamere e gli impianti di allarme, il 34% ha preferito stipulare un’assicurazione, mentre il 25% ha riferito di essersi affidato a un servizio di vigilanza privata. Questi strumenti di “auto-difesa” – che, stando a quanto rilevato dagli estensori dell’indagine, sarebbero costati 5,7 miliardi di euro in tutto – risultano in crescita, rispetto al 2015. Mentre cala la richiesta di protezione da parte delle forze dell’ordine. E’ il chiaro segnale della montante disillusione degli imprenditori del commercio nei confronti degli “apparati” che lo Stato mette in campo per difenderli dai fenomeni dell’illegalità che danneggiano le loro aziende.

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