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La tenerezza di un camionista

Un camionista, alla fine di una lunga giornata parla al telefono con suo figlio appena nato, una scena rara che ho voluto raccontarvi. Tutto nasce da una casuale serata in autostrada, in una stazione di servizio solitamente trafficata, ma a quell’ora molto più tranquilla.

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Un camionista, per definizione sta sulla strada. E per starci, sicuramente non può essere una mammoletta. Nonostante sia una professione socialmente poco considerata, le competenze di chi guida un bestione della strada sono e devono essere straordinariamente alte, così come lo è la sua responsabilità. Troppo lungo e difficile, ora, entrare nei dettagli tecnici in grado di spiegare il perché di una simile affermazione, basti sapere che nella maggior parte dei casi, i camionisti sono persone piuttosto dure, determinate, con spesso un caratteraccio, “costruito” negli anni, durante quelle giornate infinite passate sulla strada, in mezzo a mille e più imprevisti, a guidare un mezzo che può pesare anche più di 50 tonnellate, in alcuni casi.

camionista

Difficile quindi  aspettarsi di assistere ad una scena come quella di cui, fortuitamente, sono stato testimone qualche sera fa. Lui, era un uomo sulla quarantina, una pancia vistosa ma non esagerata, coperta da una sgargiante maglietta rossa. Straniero, probabilmente dell’est Europa. Lo si poteva intuire dalla cadenza della parlata (a noi incomprensibile) e dai lineamenti. Se ne stava lì, appoggiato ad una ringhiera all’uscita del bar di un autogrill di una trafficata autostrada del Nord Italia. Ma a quell’ora, in quel punto, di traffico ce n’è ben poco. I camion, i Tir, come li chiamano in molti, fatta eccezione per quelli che viaggiano in notturna, sono fermi. Gli autisti hanno finito le ore, quelle di guida e quelle d’impegno.

L’atmosfera, per i più romantici, è di quelle un po’ nostalgiche. Sono circa le nove di sera e quell’uomo, lontano probabilmente migliaia di km da casa, attraverso il suo cellulare che teneva ben stretto davanti al viso, stava parlando con la sua famiglia. Basterebbe forse già questo a mettere in luce uno di quei tantissimi e preziosi angoli oscuri che la quotidiana vita lavorativa di ognuno nasconde. Ma per mia fortuna, ho assistito a qualcosa di più, qualcosa di piuttosto raro. Dal cellulare del camionista usciva il pianto di un bimbo, un neonato, senza alcun dubbio. Sulle prime ho pensato si trattasse di uno di quei giochini leggeri da smartphone, o di qualche app similare. Poi, l’ho visto “parlare”, letteralmente, col cellulare, ed il tono non era certo di quelli che potevano intimorire. Il camionista stava “interloquendo” (con tutta probabilità) con suo figlio appena nato o giù di lì, il quale, non sapendo ancora proferire parola, ovviamente non poteva rispondere compiutamente. Ma questo era però irrilevante per l’autista di professione che, non potendolo vedere dal vivo, si stava “accontentando” di sfruttare la tecnologia per potersi sentire un po’ più vicino a casa. Poco dopo, dall’altra parte della “cornetta” si sentiva una voce di donna, che ho immaginato essere sua moglie.

Concentrato com’era, avrei potuto fotografarlo, addirittura fargli un video e per non farmi mancare niente “aggirarlo” per spiare dentro lo schermo del suo cellulare, vedere insomma la faccia del suo bimbo, di fatto al centro di tutta la vicenda. Ovviamente non mi è passato neanche per il cervello di fare qualcosa del genere. Un po’, professionalmente parlando, per non violare la sua privacy, un altro po’ per non fare la stessa cosa nemmeno dal punto di vista umano. Quest’ultima, alla faccia di tutte le regole deontologiche, ma neanche poi tanto vista l’adiacenza delle prime al secondo, mi è sembrata la cosa più importante. Brutto ed inutile violare un momento cosi privato, pur consumato in un’area pubblica. Bellissimo invece, è stato esserne testimoni, casuali quanto fortunati.

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