La questione infiamma da sempre i dibattiti degli addetti ai lavori: l’Italia è o non è il più bel Paese del mondo? Di certo dispone di una quantità di bellezze (architettoniche, paesaggistiche e monumentali) da fare invidia a chiunque. E attrae da sempre stuoli di artisti ed esteti (oltre che di turisti) pronti ad eleggerla a loro Patria ideale. Eppure, secondo alcuni osservatori, la cultura in Italia non gode della giusta considerazione e apre scenari occupazionali troppo asfittici.
A sollevare la questione è stato Claudio Meloni, responsabile Beni culturali della Fp-Cgil, che ha puntato l’indice contro l’ultima riforma proposta dal ministro Dario Franceschini che prevede, tra le altre cose, la soppressione delle 17 sovrintendenze archeologiche e il loro accorpamento a quelle che tutelano il paesaggio e le belle arti. “La riforma completa un disegno che ha al suo centro la destrutturazione di tutte le linee di tutela del nostro patrimonio culturale”, è stato l’affondo del sindacalista. Secondo cui, al netto di tutti i “proclami”, il governo italiano continua a investire troppo poco sull’inestimabile patrimonio culturale di cui dispone (solo lo 0,30% del bilancio statale viene destinato al ministero competente). Con ripercussioni pesanti anche dal punto di vista occupazionale.
I lavoratori del settore – archeologi, bibliotecari, storici dell’arte, archivisti, architetti – devono infatti fare i conti, ormai da diversi anni, con il blocco delle assunzioni e i 500 posti messi a concorso per il 2016 serviranno, secondo gli osservatori più disillusi, a coprire solo il turn over. “Entro il 2020 – ha spiegato Meloni – andrà in pensione più di un terzo del personale del ministero: metà è già oltre i 60 anni. Le poche assunzioni fatte sono state frutto di interventi casuali dovuti a emergenza, come la legge speciale su Pompei. Noi chiediamo, invece, di avviare una programmazione seria di entrate e di riprendere un trend di investimenti: solo così i beni pubblici potranno essere davvero un bene essenziale per il Paese”. E a indagare meglio, come hanno fatto Rassegna sindacale e Radio Articolo1, si scopre che quella degli archeologi, in particolare, non è una vita facile. Il 14% di loro lavora presso il ministero, il 27% ha aperto una partita Iva, il 6% lavora in un’impresa o in cooperativa e il 14% presta collaborazioni occasionali. E sono precari per eccellenza, visto che solo il 17% di loro riesce a lavorare tutto l’anno mentre il 66% deve accontentarsi di incarichi che non durano più di 6 mesi.
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