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Liberalizzazioni: cosa cambia per notai, tassisti, farmacisti e benzinai

Più concorrenza, più spazio ai giovani e prezzi più bassi. È questo, in sostanza, il cuore del decreto liberalizzazioni, il decreto-legge n.1 del 24 gennaio 2012 voluto dal governo Monti per aumentare la concorrenza, la competitività nei settori che producono energia, nei servizi bancari e assicurativi, nel trasporto e nell’ambito della distribuzione dei carburanti, in …

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Più concorrenza, più spazio ai giovani e prezzi più bassi. È questo, in sostanza, il cuore del decreto liberalizzazioni, il decreto-legge n.1 del 24 gennaio 2012 voluto dal governo Monti per aumentare la concorrenza, la competitività nei settori che producono energia, nei servizi bancari e assicurativi, nel trasporto e nell’ambito della distribuzione dei carburanti, in quello farmaceutico e nei servizi professionali. Liberalizzazione, in sostanza, significa rimuovere vincoli normativi, regolatori, fiscali. Vediamo quali cambiamenti sono previsti per le categorie dei notai, dei benziani, dei taxisti e dei farmacisti.


1500 NOTAI IN PIÙ IN TRE ANNI

Per ila professione di notaio il decreto prevede un incremento della pianta organica per un totale di 1520 posti in più da qui al 2014, da bandire tramite concorso, naturalmente. Attualmente i notai sono 4697, mentre le sedi disponibili sono 5779: questo vuol dire che ci sono circa 1000 posti vacanti. Con il decreto liberalizzazioni si andrebbero a coprire i 1000 posti liberi e a creare 500 nuovi posti. Se oggi, inoltre, i notai possono esercitare all’interno del proprio distretto notarile (all’incirca pari all’area di competenza del tribunale locale), con le nuove disposizioni potrebbero estendere il proprio raggio d’azione all’area del distretto della Corte d’Appello (pari più o meno a quella regionale). “Non abbiamo innalzato barricate”, spiegano dal Consiglio Nazionale del Notariato, “in merito all’aumento delle sedi e dei posti a disposizione, ma facciamo presente che l’aumento della pianta organica dei notai non aiuta il mercato del lavoro e l’economia. Il notaio, infatti, ha tra le sue mansioni quella di elaborare gli atti per il mercato immobiliare, ma se la gente non compra le case, c’è ben poco da spartire”.

Il reddito medio annuo dichiarato dalla categoria, che solitamente è ritenuta privilegiata, è di 280mila euro (dato relativo al 2009 e ultimo a disposizione dal Consiglio Nazionale del Notariato), ma dal Notariato sottolineano: “Negli ultimi 4 anni i notai han visto ridursi l’attività del 40%, a causa della crisi non c’è molto lavoro”. E contro chi dice che quella del notaio è una professione tutta italiana, la categoria replica: “In Europa i notai esistono in 21 Paesi su 27, non esistono invece negli Stati anglosassoni. Ci sono, invece, in 81 Paesi nel mondo: in Cina dal 2003, in Russia, in alcuni Stati dell’America Latina”. La questione che allarma maggiormente la categoria, però, è la possibilità, introdotta dal decreto legge, di costituire, per gli under 35, delle società a responsabilià limitata a solo 1 euro. I notai riconoscono che una srl di questo tipo agevola i giovani, ma allertano anche dei rischi che può portare con sé: frodi, riciclaggio, truffe ed evasione sono in agguato. “Segnaliamo le gravi conseguenze giuridiche, sociali e di ordine pubblico che la nuova società semplificata con capitale minimo a un euro, fuori dalla ordinaria procedura di controllo notarile di legittimità, può causare”, dicono dal Consiglio Nazionale del Notariato, mettendo in luce l’importante ruolo preventivo e di controllo svolto dalla categoria, e mettendosi a disposizione del Governo per creare una normativa specifica e che risponda alle attuali esigenze, ma che favorisca una situazione legale e trasparente.

BENZINAI “LIBERI”, MA FINO A CHE PUNTO?

Tra i professionisti sul piede di guerra ci sono soprattutto i benzinai, i cui punti vendita in Italia sono ben 25mila. Il decreto recita: “I gestori degli impianti di distribuzione dei carburanti che siano anche titolari della relativa autorizzazione petrolifera possono liberamente rifornirsi da qualsiasi produttore o rivenditore nel rispetto della vigente normativa nazionale ed europea”. Non per tutta la fornitura, però, ma “solamente per la parte eccedente il 50% della fornitura complessivamente pattuita e comunque per la parte eccedente il 50% di quanto erogato nel precedente anno nel singolo punto vendita”. In poche parole, i titolari degli impianti possono liberarsi, per una parte, del contratto di esclusiva firmato con un determinato gestore, al fine di abbassare i prezzi. Il decreto legge, inoltre, stabilisce la possibilità per i gestori degli impianti di distribuzioine di aggregarsi, al fine di sviluppare la capacità di acquisto all’ingrosso di carburante, servizi di stoccaggio e del trasporto, sempre allo scopo finale di ridurre i prezzi al consumatore. Viene inoltre stabilito che gli impianti self service fuori dai centri abitati siano liberi da vincoli, e possano funzionare senza limiti. I distributori possono inoltre vendere prodotti non-oil, come alimenti e bevande, sempre per aumentare la concorrenzialità. Ma cosa ne pensano i diretti interessati? “Eravamo favorevoli”, spiega Massimo Vivoli di Faib Confesercenti, “alla prima stesura del testo del decreto, quella che dava la possibilità a tutti gli impianti, e non solo a quelli proprietari, di rifornirsi liberamente da qualsiasi produttore. Con questa ultima stesura, invece, si svantaggiano i gestori non titolari degli impianti, che hanno già poco margine di guadagno sul prodotto erogato, e alla fine gli resta ben poco”. Il fatto è che la maggior parte dei benzinai non è titolare del distributore, ma semplice gestore. “A noi serve che ci sia vera concorrenza tra le diverse compagnie, se no non si calmierano i prezzi”, prosegue Vivoli. “Con questo decreto legge sono state favorite ancora una volta le compagnie petrolifere, che hanno già il monopolio e il controllo dell’intera filiera, e non i gestori di impianti”. Ed è per questo che, mentre minacciano scioperi massicci, annunciano la volontà di mettersi col Governo attorno a un tavolo per trovare soluzioni per una vera concorrenza.


TAXI SUL PIEDE DI GUERRA: NO A LICENZE PLURIME ED EXTRATERRITORIALITA’

Incandescente, invece, la situazione dei taxisti. La categoria, infatti, che ha incrociato le braccia negli scorsi giorni, dice no alla concessione di licenze plurime e alla possibilità di muoversi anche in ambito extra-territoriale. Il decreto legge prevede, infatti, l’incremento del numero delle licenze, la possibilità di avere licenze part-time, una maggiore libertà nella gestione degli orari di lavoro, ma anche tariffe più flessibili, e la possibilità del taxi collettivo.

Dal canto loro, i taxisti lamentano un lavoro che richiede turni massacranti, elevatissimi costi delle concessioni, e sono scettici verso l’incremento delle licenze. “Il decreto legge”, spiega Alfonso Faccioli, responsabile Milano Lombardia di Uil Taxi, “capovolgerebbe la situazione. Mentre ora sono i Comuni a concedere le licenze con la Regione e la categoria di professionisti, con la nuova normativa il compito passerebbe all’authority e la cosa non ci sta bene. Non si capisce molto, inoltre, cosa dovrebbero essere le licenze part time, mentre la circolazione extra-territoriale riteniamo sia una follia. Un taxista di Pavia, ipoteticamente, potrebbe operare a Milano, ed è assurdo in primis perchè non conosce il territorio, e in secondo luogo si rischierebbero di lasciare scoperti i Comuni con poca richiesta”. E per quanto riguarda le tariffe flessibili? “Non siamo d’accordo perchè mentre il tariffario tiene conto del costo della benzina, del costi fissi e di altri parametri, avere la flessibilità per i singoli, i consorzi o le centrali radio significherebbe che il sistema sfuggirebbe al controllo”.


PROFESSIONISTI, STOP AL TARIFFARIO MA OBBLIGO DI PREVENTIVO

Per quel che riguarda le professioni regolamentate, inoltre, sparisce l’obbligo del tariffario, ma arriva quello del preventivo, che i professionisti dovranno fornire al cliente per iscritto indicando i costi dei servizi richiesti e il numero di polizza per la responsabilità civile. Lo scopo, evidentemente, è quello di aumentare la concorrenza e tagliare i costi delle prestazioni dei professionisti. Tra le categorie professionali più intransigenti ci sono gli avvocati e i commercialisti, mentre più accondiscendenti sono gli architetti che considerano utile il preventivo “per un rapporto trasparente con i clienti”. Il decreto liberalizzazioni, però, introduce anche una novità per quel che riguarda il tirocinio per l’accesso alle professioni regolamentate (salvo per quelle sanitarie): il periodo non potrà superare i 18 mesi, e i primi 6 possono essere svolti in concomitanza con il corso di studi. Posizione che mira a favorire e velocizzare l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani.


PIÙ FARMACIE E SCONTI SUI MEDICINALI

Per quel che riguarda le farmacie, il decreto prevede che si abbia una farmacia ogni 3000 abitanti, liberalizza l’apertura in turni e orari diversi da quelli obbligatori, e consente ai farmacisti di praticare sconti non solo per i farmaci di fascia C (quelli con obbligo di ricetta, per intenderci) ma anche a quelli acquistati direttamente dal cliente. E un concorso straordinario annunciato dal ministro ala salute Renato Balduzzi apre le porte a nuovi professionisti (a patto che non siano titolari) in vista dell’apertura di 5000 nuove farmacie, mentre sono previsti incentivi per coprire i circa 840 posti vacanti nei punti vendita poco ambiti dei piccoli Comuni. In totale, si passerà dalle attuali 18mila farmacie, a 23mila. La liberalizzazione consentirà di trovare aperte più farmacie di notte, ad esempio, e sarà incentivata la diffusione di farmci generici (cioè medicinali che contengono lo stesso principio attivo di quelli di marca, ma costano fino al 30% in meno): saranno gli stessi medici a indicare sulle ricette la posibilità di sostituire il medicinale indicato con uno generico. Così, il cittadino potrebbe spendere meno e il Servizio Sanitario Nazionale risparmierebbe. “La riforma del settore”, si legge sul sito di Federfarma, “deve tener conto del delicato equilibrio economico di molte farmacie, in particolare quelle più piccole e quelle che operano nei centri minori, che verrebbero messe in crisi da un’accentuazione eccessiva della concorrenza e che già oggi sono in grave difficoltà a causa dei continui tagli alla spesa farmaceutica e della distribuzione diretta dei farmaci da parte delle Asl”. Insomma, l’aumento di 5000 nuovi punti vendita è definito “insostenibile” dalla categoria. E la Federazione fa un confronto con l’estero: “Occorre”, spiegano da Federfarma, “guardare alle esperienze di altri Paesi europei come Grecia, Portogallo e Francia, dove si sta cercando di porre rimedio a un aumento eccessivo del numero delle farmacie, al correlato incremento dei costi per il servizio sanitario nazionale e alle carenze del servizio, in particolare nelle zone rurali”.

Intanto la federazione è stata ricevuta nei giorni scorsi dal ministro Balduzzi e ha per questo annullato lo sciopero previsto per l’1 febbraio. Ma il mese appena iniziato si preannuncia già zeppo di proteste e scioperi, a partire da quello dei benzinai, le cui modalità e date verranno definite il 7 febbraio, degli autotrasportatori (già in protesta da giorni), dei medici e degli avvocati.

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