Premessa: Linkedin (per chi non lo sapesse) è un servizio web di rete sociale che mette in connessione i professionisti di tutto il mondo. Una piattaforma che vanta ormai centinaia di milioni di utenti che sperano di fare l’incontro lavorativo giusto sulla Rete. Un vero e proprio colosso, che procura al suo ideatore, Reis Hoffman, non pochi guadagni; ma che ha ultimamente suscitato l’ira di alcuni iscritti.
Cosa è successo? Che la causa intentata nel 2013 in California contro Linkedin si è conclusa con la richiesta di un risarcimento che ammonta a 13 milioni di dollari. Soldi che il social dei professionisti dovrà corrispondere a tutti quegli utenti che si sono lamentati per l’invio massiccio di mail non autorizzate, meglio note come spam. A finire nel “mirino” è stata la funzione “Add connections” con la quale chi si iscrive alla piattaforma ed accetta anche la apposita funzione, mette i gestori nella condizione di poter accedere ai contatti presenti, per esempio, nella sua casella di posta elettronica. Contatti che Linkedin cerca di sfruttare al meglio, invitandoli ad entrare nella grande rete di professionisti che si cercano sul Web. Ma le modalità utilizzate risultano un po’ invasive perché all’invio di una prima mail, ne segue un secondo e un terzo. In pratica: quando il contatto sollecitato a iscriversi su Linkedin non dà risposta, il social non allenta la morsa, ma anzi rincara la dose. Suscitando l’insofferenza di chi riceve le mail, ma anche l’ira di chi non autorizza ad utilizzare in questo modo il suo portfolio di contatti. Conclusione? Gli utenti californiani verranno risarciti con 1.500 dollari ciascuno (più di 1.331 euro). Il prezzo che Linkedin dovrà pagare per essere stato troppo insistente.
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