Tenersi stretto un lavoro può essere faticoso. Soprattutto per le donne che, quando scelgono di mettere al mondo un figlio, si trovano sempre più spesso costrette a rinunciare al loro impiego. Le lavoratrici continuano a rappresentare l’anello debole del mercato occupazionale italiano (insieme ai giovani), come testimoniato dagli importi più bassi percepiti rispetto ai loro colleghi uomini.
A fornire un quadro dettagliato è stato l’Istat che, durante un’audizione alla Camera, ha rilevato che il 30% delle donne italiane lascia il lavoro, dopo la gravidanza. E che il tasso di abbandono, tra le donne nate dopo il 1964, si attesta al 25%. Un tasso che è andato aumentando con l’acuirsi della crisi, passando dal 18,4% del 2005 al 22,3% del 2012. Ma c’è di più: nel 60% dei casi, le uscite delle lavoratrici-mamme dal mercato occupazionale si protraggono per almeno cinque anni, mentre quelle che riescono a non lasciare il lavoro devono affrontare difficoltà sempre più grandi (la conciliazione, per il 42,7% delle neomamme, risulta faticosa). Ancora: i percorsi lavorativi delle donne sono mediamente più “atipici” di quegli degli uomini, mentre cresce il part-time che, nel 1993, interessava solo il 21% delle lavoratrici e, nel 2014, ha coinvolto, invece, il 32,2% di loro. Con conseguenze inevitabili sul fronte della retribuzione e della contribuzione che hanno determinato un abbassamento degli importi pensionistici. Nel dettaglio: secondo l’Istat, più del 52% delle donne italiane pensionate percepisce meno di mille euro al mese e il 15% va avanti con meno di 500 euro mensili. E i dati provvisori, relativi al 2014, forniti ieri dall’istituto nazionale di statistica non fanno che confermare il gap di genere: secondo la rilevazione, infatti, la pensione media di una donna si attesta sui 1.095 euro, mentre quella di un uomo sui 1.549 euro. Per non parlare del lavoro irregolare che, tra il 2010 e il 2012, ha interessato l’11,1% delle lavoratrici, contro l’8,9% dei lavoratori.
“L’Italia – ha fatto notare l’Istat – continua a essere un Paese caratterizzato da un’elevata asimmetria dei ruoli nella coppia (il 72% delle ore di lavoro di cura della coppia con figli sono svolte dalle donne), da una bassa offerta dei servizi per l’infanzia e da una crescente difficoltà di conciliazione, soprattutto per le neomadri (dal 38,6% del 2005 al 42,7% del 2012). I differenziali di genere nelle pensioni non verranno colmati fintanto che non saranno superate le disuguaglianze di genere nel mercato del lavoro, nell’organizzazione dei tempi di vita, e non sarà disponibile una rete adeguata di servizi sociali per l’infanzia”.
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