I pareri sono contrastanti: le macchine entrate nelle aziende sono state salutate da alcuni con grande favore, da altri con marcata ritrosia. La questione sta nel capire quale sarà il ruolo che l’intelligenza artificiale giocherà nel processo di produzione industriale (e non solo). E quanto inciderà sul peso delle responsabilità che, da sempre, sono affidate agli uomini. In pratica, si può davvero ipotizzare che computer e robot sempre più sofisticati arrivino a causare il licenziamento di dipendenti in carne ed ossa? I dirigenti preferiranno davvero gli umanoidi agli umani? Difficile a dirlo: chi tende a vaticinare scenari post-moderni, fatti di aziende e negozi popolati da robot, dimentica di dire che la realizzazione di alcune di queste macchine comporta spese importanti (che non tutti sono in grado di sostenere). E di contro, chi si dispera all’idea che un dispositivo tecnologico possa prendere il posto di un uomo al lavoro dimentica di valutare i benefici che ne possono derivare. La questione è, insomma, più complessa di come si tende a rappresentarla e merita – a nostro avviso – un approfondimento.
Le paure degli allarmisti
Gli allarmi non mancano di certo: l’ultimo report del World Economic Forum ha profetizzato la perdita del posto di lavoro a 5 milioni di persone in tutto il mondo, per colpa della crescente sofisticazione delle macchine artificiali. E un più recente studio condotto negli Usa da Forrester ha confermato che, nei prossimi 5 anni, il 6% dei lavoratori americani rimarrà a casa per colpa dei computer.
A preoccuparsi di più, secondo gli estensori della ricerca, dovrebbero essere i rappresentanti dei servizi clienti, gli addetti ai call center e gli autisti di taxi e camion, che potrebbero presto dover cedere il volante ad umanoidi più resistenti di loro. Ma gli esempi non mancano: in molte zone del globo hanno, infatti, già messo a punto robot che consegnano le pizze, che aiutano in casa e che svolgono mansioni particolarmente dispendiose. Il risultato? Il continuo perfezionamento delle tecnologie applicate al lavoro ha già prodotto una discreta psicosi, che ha spinto i più catastrofisti a puntare l’indice contro un sistema che – a loro avviso – rischia di sminuire il valore del contributo dell’uomo e di meccanizzare ogni cosa. Ma è davvero il caso di preoccuparsi? La situazione, come già detto, merita di essere indagata con più attenzione.
Quando le macchine aiutano gli uomini
Capovolgiamo il punto di vista e sforziamoci di comprendere se l’ingresso dell’intelligenza artificiale nelle aziende (o in qualsiasi altro luogo di lavoro) possa, al contrario, apportare benefici alle persone. A noi sembra che si possa legittimamente rispondere di sì. Almeno in alcuni casi. Prendiamo l’esempio del recentissimo progetto (sviluppato, ancora una volta, negli Stati Uniti d’America) che punta a migliorare il processo di selezione dei candidati che aspirano ad entrare in un’azienda. L’idea di sfruttare l’intelligenza artificiale è venuta in mente a un pool di ricercatori che è partito da un assunto inconfutabile: per quanto preparati e professionali possano essere, i selezionatori che si occupano del reclutamento di nuove risorse non riusciranno mai ad essere del tutto oggettivi. La scelta di puntare su un candidato (e di scartarne un altro) verrà inevitabilmente viziata da un pregiudizio – più o meno latente – che è impossibile rimuovere dalle loro menti. Da qui l’idea di affidarsi alle macchine che possono aiutare a vincere questi pregiudizi. Come? Attraverso una moderna tecnologia che permette di passare in rassegna un numero infinito di dati (che vengono ordinati in sottocategorie) e di individuare i punti esatti in cui i pregiudizi tendono ad emergere e a prendere il sopravvento, nel processo di selezione. Con queste preziose informazioni, i reclutatori potranno migliorare le loro performance professionali. E sgomberare il campo da preconcetti difficili da abbattere.
E non è certo l’unico esempio: l’intelligenza artificiale applicata al lavoro può dare un aiuto importante anche in ambito medico. Basti pensare che la Microsoft sta portando avanti un progetto che mira a sfruttare le potenzialità delle macchine per sconfiggere il cancro. L’idea è quella di raccogliere una mole importante di dati che riguardano i pazienti affetti dal tumore e di metterli a disposizione dei ricercatori che cercheranno di trovare una cura mirata ed efficace. Non solo: stando a quanto trapelato, alcuni algoritmi elaborati dai computer forniranno informazioni preziose sul possibile sviluppo della malattia, permettendo di far muovere passi importanti anche nel campo della prevenzione. I catastrofisti e i fanatici 2.0 si mettano il cuore in pace: all’orizzonte non si profilano (ancora) scenari assolutistici. Ma la promessa di una collaborazione – “intelligente” e proficua – tra gli uomini e le macchine che, se ben avviata, potrà farsi garanzia di un lavoro sempre più qualificato e sicuro.
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