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Mobbing, cos’è e come tutelarsi

Cosa è il mobbing, come si riconosce, quali sono le tipologie e soprattutto come difendersi e reagire a situazioni di mobbing

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Nella mia carriera professionale mi sono trovato decine di volte a contatto con situazioni di mobbing. Molte volte aziende clienti che mi hanno chiesto aiuto per risolvere problematiche interne legate al mobbing e tantissime (centinaia) di volte mi sono trovato di fronte a persone decise a cambiare lavoro a tutti i costi poichè vittime di mobbing.

Il mobbing è pericolosissimo nell’attività lavorativa, poichè quasi sempre si insinua in maniera graduale ed a volte irriconoscibile, arrivando però a rendere impraticabile ed invivibile qualsiasi posto di lavoro. Portando a depressione, ricerca di nuovo lavoro (anche quando il lavoro in se non va male) a causa dell’ambiente malsano o, nei casi più estremi, dimissioni per giusta causa in tronco senza avere altre alternative.

Ho deciso quindi di scrivere un contenuto approfondito con l’obiettivo di farti riconoscere immediatamente le situazioni di mobbing (che riguardino te o tuoi colleghi) e capire come reagire mantenendo sangue freddo.

Mobbing: storia, esempi e tipologie

Il termine mobbing deriva dal verbo inglese to mob che tradotto in italiano significa assalire, aggredire, affollarsi attorno a qualcuno. Esso fa riferimento, in generale, all’insieme di comportamenti persecutori che tendono ad emarginare un soggetto dal gruppo sociale di appartenenza, tramite una molestia o una violenza psichica protratta nel tempo.

Nel novecento, l’etologo Konrad Lorenz utilizzò per la prima volta il termine mobbing per indicare una minaccia aggressiva messa in atto da un gruppo di animali nei confronti di un altro animale, estraneo e potenzialmente nemico.
Con il tempo, il termine ha assunto connotazioni diverse. Lo psicologo tedesco Heinz Leymann trovò una stretta somiglianza tra l’aggressività degli animali e quella manifestata dai lavoratori nei confronti di altri, definendo il mobbing una condizione di persecuzione psicologica nell’ambiente di lavoro.
In Italia, la tematica è stata introdotta dallo psicologo tedesco Harald Ege, il quale nel 2002 pubblicò un metodo per identificare il fenomeno e i suoi danni tramite il riconoscimento di 7 parametri (il c.d. metodo Ege).

Oggi, il mobbing si configura come una forma di terrore psicologico perpetrata attraverso sistematici comportamenti aggressivi e vessatori da parte di colleghi o superiori gerarchici nei confronti del lavoratore per impedirgli di lavorare serenamente o per costringerlo alle dimissioni.
Le ragioni che spingono ad una tale persecuzione possono essere diverse: invidie, gelosie, disorganizzazioni lavorative che – nel complesso – impediscono alle vittime designate di costruire e gestire i rapporti interpersonali e professionali.

Gli elementi identificativi del mobbing sono dunque:

  • la presenza di almeno due soggetti che entrano in contrasto tra di loro. Il mobber, cioè colui che esercita le azioni mobbizzanti e il mobbizzato, ossia la vittima;
  • l’attività vessatoria continua e duratura (per almeno 6 mesi);
  • lo scopo di isolare la vittima sul posto di lavoro e/o di allontanarla definitivamente per impedirle di esercitare un ruolo attivo.

Esempi di mobbing

La pluralità di comportamenti, gesti e parole finalizzata alla persecuzione del lavoratore possono essere di varia natura e intensità e consistono in:

  • emarginazione;
  • rimproveri;
  • ironie denigratorie;
  • offese;
  • maldicenze;
  • scherzi;
  • demansionamento;
  • sabotaggio del lavoro;
  • sovraccarico di lavoro;
  • molestie sessuali.

In particolare, va osservato che il mobbing non deve essere confuso con il semplice demansionamento, che consiste nell’assegnare al lavoratore compiti e mansioni inferiori a quelli che gli spetterebbero in base al suo inquadramento lavorativo.
Infatti, sebbene il demansionamento sia un atto normalmente utilizzato tra le pratiche di mobbing, tuttavia la semplice assegnazione di mansioni inferiori non è di per sé sufficiente a consentire di ritenere sussistente una ipotesi di mobbing che prevede, invece, una pluralità di atti lesivi della dignità umana e professionale del lavoratore (dignità da intendersi sotto l’aspetto morale, psicologico, fisico o sessuale).

Tipologie di mobbing

Con riferimento ai soggetti che pongono in essere le condotte persecutorie possiamo distinguere due tipologie di mobbing:

  1. il mobbing verticale perpetrato da un superiore gerarchico, oppure direttamente dal datore di lavoro. In alcuni casi il mobber è l’azienda stessa e la strategia persecutoria (diretta o indiretta) assume i contorni di una vera e propria strategia aziendale di riduzione, ringiovanimento o razionalizzazione del personale, oppure di semplice eliminazione di una persona indesiderata. A tale riguardo è stato coniato il termine bossing;
  2. il mobbing orizzontale perpetrato dai colleghi di pari ordine gerarchico, i quali si coalizzano al fine di emarginare un altro lavoratore non gradito e sul quale scaricano tensioni, aggressività e gelosie. L’origine del mobbing orizzontale risiede nel tentativo di eliminare colui che può alterare gli equilibri aziendali facendo venir meno i privilegi già conquistati.

Altre classificazioni vedono la distinzione tra:

  • mobbing leggero se gli atti persecutori sono sottili e silenziosi (ma non per questo meno pericolosi), o pesante, laddove le azioni sono evidenti e violente;
  • mobbing involontario, ovvero transitorio e legato ad uno stato di stress del lavoratore;
  • mobbing del cliente, quando i lavoratori diventano vittime dei clienti per cui svolgono un servizio;
  • serial mobbing, quando un impiegato cerca di mobbizzare un lavoratore dopo l’altro;
  • mobbing ascendente, quando un lavoratore con mansioni superiori viene mobbizzato da lavoratori con mansioni inferiori;
  • mobbing diretto quando le azioni vessatorie sono indirizzate specificatamente verso la vittima; mobbing indiretto quando il comportamento persecutorio è rivolto alla famiglia o agli amici della vittima.

Come comportarsi quando si è vittime di mobbing

Secondo i dati del Ministero degli Interni circa un milione e mezzo di lavoratori è vittima di comportamenti vessatori sul posto di lavoro, di cui il 52% sono donne. In realtà, il fenomeno ha più ampie dimensioni se si considera che nella gran parte dei casi tali situazioni non vengono denunciate (soprattutto dai neo-assunti).
Ai fini della denuncia e della richiesta di risarcimento del danno, è fondamentale che la vittima raccolga tutta la documentazione necessaria che dimostri le vessazioni subite. A tale scopo sarà utile tenere un diario dove annotare le azioni mobbizzanti, specificando data, ora, luogo, autore ed eventuali testimoni. Occorrerà anche annotare le conseguenze psico-fisiche subite e conservare la documentazione medica delle cure seguite.

Azioni legali e disciplinari per proteggersi dal mobbing

In qualsiasi forma si presenti o a qualsiasi scopo tenda, il mobbing è un abuso perpetrato nei confronti di una persona che può sviluppare delle vere e proprie patologie fisiche o psichiche.
Nonostante l’assenza di una specifica previsione legislativa, nel nostro ordinamento possono rinvenirsi diverse norme (costituzionali, specialistiche, civilistiche e penali) che forniscono una tutela nei confronti di alcuni dei comportamenti ascrivibili al mobbing.

Sul piano costituzionale, vi sono numerosi articoli che tutelano la persona in quanto tale. In particolare, l’articolo 32 riconosce e tutela la salute come un diritto fondamentale dell’uomo; l’articolo 35 tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni; l’articolo 41 vieta lo svolgimento delle attività economiche private che possano arrecare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.

Con riferimento alle leggi speciali, una tutela contro comportamenti persecutori sul posto di lavoro può essere ravvisata oltre che nel Testo unico in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, anche nello Statuto dei lavoratori. Quest’ultimo prevede una specifica procedura per le contestazioni disciplinari a carico dei lavoratori e punisce i comportamenti discriminatori del datore di lavoro.

Sotto il profilo civilistico, la vittima del mobbing potrà citare in giudizio l’autore per ottenere un risarcimento danni. A tal proposito, occorre distinguere le ipotesi in cui l’autore del mobbing sia un superiore gerarchico o un collega della vittima, da quelle in cui l’autore sia il datore di lavoro.
Nella prima ipotesi, l’autore della violenza sarà chiamato a rispondere ai sensi dell’art. 2043 c.c. (responsabilità extra contrattuale) che prevede l’obbligo di risarcimento in capo a chiunque cagioni ad altri un danno ingiusto con qualunque fatto doloso o colposo.
Qualora l’autore delle violenze sia, invece, il datore di lavoro si aggiungerà la responsabilità contrattuale da inadempimento di cui all’art. 2087 c.c., che impone all’imprenditore di adottare tutte le misure idonee a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale di lavoratori.

A seconda delle modalità con cui viene posto in essere, il mobbing può produrre un danno patrimoniale e/o un danno non patrimoniale.

Il danno patrimoniale rappresenta il pregiudizio economico conseguente alle condotte vessatorie del datore di lavoro (mutamento di mansioni, perdita di indennità, ecc.) ed è quantificabile in una somma di denaro per il cui ottenimento basterà che il lavoratore dimostri ad esempio di aver sostenuto le spese per le cure mediche.
Il danno non patrimoniale, invece, consiste nella lesione della salute fisica o psichica (danno biologico), nella sofferenza interiore derivante dalle condotte persecutorie (danno morale) e nel peggioramento delle sue condizioni di vita quotidiane (danno esistenziale). La quantificazione del danno non patrimoniale viene normalmente effettuata utilizzando le tabelle predisposte dal Tribunale di Milano che quantificano il danno a partire da un accertamento (realizzato da un medico legale) delle conseguenze del mobbing sulla salute del lavoratore. Pertanto, l’entità del risarcimento dipenderà dal grado di invalidità accertato dal medico legale.

Ai fini del risarcimento il lavoratore sarà tenuto a provare:

  1. i comportamenti persecutori e offensivi, reiterati nel tempo, tali da aver reso l’ambiente di lavoro ostile;
  2. l’esistenza del danno, ovvero la lesione alla propria saluto psico-fisica;
  3. il nesso di casualità inteso come rapporto di causa-effetto. Dimostrare, cioè, che il danno all’integrità psico-fisica sia derivato dalla condotta vessatoria e non sia dipeso da altri fattori.

In alcuni casi, è possibile ricorrere anche alle “Tecniche di risoluzione alternativa delle dispute” (c.d. ADR), allo scopo di attuare una strategia extra-giudiziale capace di far pervenire le parti litiganti ad un accordo.
Rientrano nel novero delle A.D.R. l’arbitrato, la mediazione e la conciliazione. Tali tecniche permettono di ridurre al minino le spese processuali, di risolvere la controversia in modo rapido, di mantenere segreta la procedura e minimizzare l’impatto negativo che la controversia potrebbe avere sui rapporti interpersonali.

Infine, seppur non esista una specifica fattispecie di reato è indubbia la rilevanza penale di molteplici comportamenti integranti il mobbing che potranno essere oggetto di denuncia-querela. I comportamenti mobbizzanti, infatti, a determinate condizioni, possono cagionare delle conseguenze riconducibili al reato di violenza privata (art. 610 c.p.), minaccia (art. 612 c.p.), atti persecutori (art. 612 bis c.p.), diffamazione (art. 595 c.p.), lesioni personali (art. 582 c.p.), maltrattamenti (art. 572 c.p), violenza sessuale (art. 609-bis c.p.), estorsione (art. 629 c.p.), istigazione al suicidio (art. 580 c.p.), abuso d’ufficio (art. 323 c.p.).

Associazioni a supporto di vittime di mobbing

La persona che ritiene di essere vittima di mobbing deve rivolgendosi immediatamente agli sportelli mobbing presenti in ogni città, alle associazioni specifiche e ai sindacati per ricevere assistenza e consulenza da parte di numerosi esperti (consulenti del lavoro, psicologi, medici legali, avvocati).

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