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Mobbing: non sempre comporta la perdita di professionalità

<span style=”font-family: verdana,geneva,sans-serif;”><span style=”font-size: 14px;”><span style=”color: rgb(0, 0, 0);”><img style=”display: none” class=” alignleft size-full wp-image-4430″ alt=”” src=”https://www.biancolavoro.it/wp-content/uploads/2014/02/Giudice.jpg” style=”width: 160px; height: 107px; margin: 3px; float: left;” width=”1550″ height=”1033″ />Essere soggetti a <strong>mobbing </strong>non implica, automaticamente, subire una <strong>perdita di professionalità e di occasioni lavorative</strong>. A stabilirlo è una recente sentenza della sezione Lavoro della Corte di …

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 <span style="font-family: verdana,geneva,sans-serif;"><span style="font-size: 14px;"><span style="color: rgb(0, 0, 0);"><img style="display: none" class=" alignleft size-full wp-image-4430" alt="" src="https://www.biancolavoro.it/wp-content/uploads/2014/02/Giudice.jpg" style="width: 160px; height: 107px; margin: 3px; float: left;" width="1550" height="1033" />Essere soggetti a <strong>mobbing </strong>non implica, automaticamente, subire una <strong>perdita di professionalità e di occasioni lavorative</strong>. A stabilirlo è una recente sentenza della sezione Lavoro della Corte di Cassazione (la pronuncia è la n. 172 dello scorso 8 gennaio 2014), secondo cui nell'ipotesi di mobbing l'avvenuto accertamento del danno alla salute non implica l'automatico riconoscimento di un danno alla professionalità del lavoratore.</span></span></span>



La vicenda esaminata

Il caso sui cui si è espressa la Corte di Cassazione riguarda una dipendente che ha subito diversi provvedimenti disciplinari, e alcuni trasferimenti, attribuendoli a un disegno vessatorio posto ai suoi danni dal proprio datore di lavoro. Per questo motivo la lavoratrice si era rivolta ai giudici di primo grado domandando di condannare il datore per mobbing. Ebbene, in secondo grado viene riconosciuto il diritto al risarcimento del danno alla salute da mobbing, escludendo – tuttavia – un danno contemporaneo alla professionalità. Secondo quanto sancito dalla corte d’Appello, infatti, considerate le mansioni amministrative della persona, la forzata inattività causata dal comportamento illegittimo (e punito) del datore di lavoro, non vi sarebbe comunque stata alcuna perdita di occasione lavorativa o di obsolescenza. Oltre a quanto sopra, integra la pronuncia, la dipendente non avrebbe fatto nulla per provare quel danno.

Il caso in Cassazione

La dipendente ha quindi deciso di ricorrere in Cassazione, contestando due elementi fondamentali. Il primo è relativo alla presunta contradditorietà della motivazione della sentenza di secondo grado, che seppure rileva che le circostanze emerse nel corso del processo sono utili per dimostrare il danno alla salute, non contempla contemporaneamente un danno alla professionalità per la mancata dimostrazione delle circostanze che lo avrebbero determinato.

Il secondo elemento di lamentela da parte della ricorrente è invece la presa di posizione sulla violazione delle norme sulla responsabilità civile del datore di lavoro, sul risarcimento del danno alla professionalità e sull’onere della prova. In pratica, la lavoratrice afferma che il mobbing non può che avere provocato una situazione di “emarginazione professionale”, rendendo così presunto il danno alla professionalità.

Le ragioni della Cassazione

La Cassazione si pronuncia a questo punto in maniera piuttosto interessante, respingendo il ricorso e affermando che il danno alla professionalità è ben altra cosa rispetto al danno biologico, poichè gli stessi avrebbero dei presupposti differenti. Mentre infatti il primo riguarda la professionalità del lavoratore, ovvero la propria capacità lavorativa, il secondo riguarda il suo fisico. Pertanto, non può essere censurabile per questo motivo una decisione che pur riconoscendo il primo tipo di danno, non contempla il secondo, e viceversa.

Ancora, la Cassazione precisa come il danno alla professionalità non possa essere “presunto”, ma debba essere dimostrato in maniera specifica. A titolo di esempio, la pronuncia segnala come una ipotesi di “dimostrazione” è il legame tra il demansionamento e l’ostacolo alla progressione di carriera: nel caso in oggetto di esame della Suprema Corte, invece, la ricorrente non ha dedotto nulla, affermando che il danno fosse implicito. Infine, la Cassazione ha sottolineato come l’accertamento delle circostanze di fatto non abbia chiarito il danno subito, poichè – anche per questa interpretazione – il danno alla professionalità non può che richiedere la prova (nella fattispecie concreta, evidentemente carente).

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