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Negozi: oltre 6 mila in meno in un anno

Il picco di chiusure in Sicilia, mentre la Calabria se la cava. E le cose vanno nettamente meglio agli ambulanti che ai negozianti tradizionali

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Gli ultimi indicatori economici sembrano disegnare uno scenario in ripresa, ma per alcuni, la situazione non migliora. Anzi. L’Osservatorio della Confesercenti sulla natimortalità delle imprese di commercio e turismo ha rilevato come, negli ultimi 8 mesi, i negozi del Bel Paese abbiano continuato a soffrire, soprattutto nelle aree notoriamente più svantaggiate.

negozi
image by Sakarin Sawasdinaka

Per quanto vadano fatte le dovute distinzioni. Tra gennaio e agosto, il numero delle imprese di commercio in sede fissa è sceso dello 0,9% in un anno, (corrispondente a 6.052 unità), mentre quelle su aree pubbliche è salito del 3,6% (corrispondente a 6.682 unità). In pratica: se gli affari non sono proprio andati bene ai negozianti tradizionali, le cose hanno preso, invece, un altro verso per i commercianti ambulanti. Segno positivo, invece, alla voce iscrizioni: le aperture totali, in un anno, sono aumentate del 16%, con un vero e proprio boom di quelle su aree pubbliche, che hanno fatto registrare un incremento del 78,7% pari a 5.037 esercizi in più.  

Ma le cose non vanno dappertutto allo stesso modo. L’Osservatorio di Confesercenti ha rilevato che, tra gennaio e agosto del 2015, le imprese sono diminuite dello 0,8% al Centro-Nord e dell’1,2% nel Sud e nelle Isole. Detta in numeri: ai 2.772 esercizi che hanno dovuto abbassare la saracinesca nella parte alta dello Stivale si sono aggiunti i 3.280 del Mezzogiorno. Con un picco particolarmente allarmante in Sicilia dove hanno chiuso i battenti 1.433 negozi (-2,3% in un anno), ma anche in Basilicata (-1,9%), in Piemonte e in Liguria (-1,4%). Uniche performance positive quelle della Calabria e del Trentino Alto Adige che, in un anno, hanno visto crescere dello 0,1% la quota dei loro esercizi. Infine: le cose sono andate particolarmente male nel settore dello svapo, degli articoli da regalo e di quelli per fumatori (-7,9%), ma non sono andate bene neanche nel settore della distribuzione dei carburanti (-3,5%) e in quello delle edicole e delle rivendite di giornali e riviste (-2,6%). Mentre la quota di esercizi che operano nel settore del tessile, dell’abbigliamento e delle calzature è scesa dell’1,8% corrispondente a 2.363  unità. Una vera e propria “ecatombe”.

“Rispetto agli scorsi anni – ha spiegato il segretario di Confesercenti, Mauro Bussoni – il mercato interno mostra qualche segnale di miglioramento, ma per i negozi tradizionali è sempre una fase difficile. Aumentano le aperture, ma l’emorragia di chiusure non si arresta. A pesare è soprattutto la deregulation delle aperture delle attività commerciali: il regime attuale, che prevede la possibilità di rimanere aperti h24 per 365 giorni l’anno, è insostenibile per i piccoli negozi, che continuano a perdere quote di mercato a favore della grande distribuzione. Se non si modificherà la normativa, i negozi non agganceranno mai la ripresina dei consumi e continueranno a chiudere”. 

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