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Costo pensioni: sempre più alto, +3,1 miliardi in un anno

L’ultimo studio della Cgia lo conferma: la spesa pensionistica italiana è particolarmente esosa. Tanto che c’è chi pensa che modificare la legge Fornero potrebbe non essere una buona idea

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L’Italia, si sa, non bada a spese. Soprattutto quando deve impiegare risorse destinate a garantire il mantenimento delle amministrazioni e dei servizi pubblici. Ma quali sono le cifre esatte? A metterle nero su bianco è stata la Cgia di Mestre che ha rilevato come, dal 2013 al 2015, la spesa pubblica non abbia smesso di crescere e come a pesare particolarmente sui bilanci dello Stato siano le uscite legate alle pensioni. Stando ai calcoli dell’ufficio studi, infatti, dal 2014 al 2015, la spesa pensionistica/assistenziale sarebbe aumentata di ben 3,1 miliardi di euro.

costo pensioni
image by PhotographyByMK

Ma partiamo dall’inizio: la spesa corrente italiana, al netto degli interessi, è andata sempre più crescendo. Dai 690, 904 miliardi del 2014 si è, infatti, passati ai 691,244 miliardi del 2015, con un aumento stimato in 340 milioni di euro. Anche la spesa pubblica è andata aumentando (+895 milioni dal 2014 al 2015), ma la sua incidenza sul Pil si è ridotta passando dal 51,2% del 2014 al 50,5% del 2015. Andando ad analizzare le voci di spesa con più attenzione, i tecnici della Cgia di Mestre hanno evidenziato che, nel corso dell’ultimo anno, a costarci particolarmente care sono state le cosiddette “prestazioni sociali in natura acquistate” (che riguardano la protezione sociale e la sanità) il cui costo è cresciuto di 410 milioni di euro. E ancor di più le “prestazioni sociali in denaro” (pensioni e altre forme di assistenza) che ci hanno fatto spendere 6,1 miliardi di euro in più. Una cifra destinata a scendere a 3,1 miliardi di euro, per effetto degli 80 euro erogati dal Governo (a beneficio di molti italiani), nel corso dell’ultimo anno e mezzo.

Ma la Cgia di Mestre è andata oltre. E ha documentato la differenza che intercorre tra la spesa del Bel Paese e quella di alcuni tra i principali Stati dell’Ue. Prendendo in considerazione il 2014 (l’ultimo anno di cui sono disponibili i dati), si è scoperto che mentre la spesa pubblica del’Italia ha gravato per il 51,2% sul Pil nazionale, quella tedesca si è fermata al 44,3% e quella spagnola al 44,5%. Peggio di noi ha fatto, invece, la Francia (con un’incidenza stimata al 57,5%), mentre la media dei Paesi dell’Eurozona non ha raggiunto il 49,5%. Ma è proprio alla voce pensioni che il gap è emerso con più evidenza: in Italia sono, infatti, costate il 16,8% del Pil, in Germania l’11%, in Spagna l’11,6% e in Francia il 15,3%, mentre la media dell’area euro non è andata oltre il 12,7%. Senza considerare gli interessi che nel Bel Paese risultano essere i più alti di tutti.

 “I dati riferiti al costo delle pensioni – ha commentato Paolo Zabeo, coordinatore dell’ufficio studi della Cgia – sono in parte condizionati dal trend demografico. Tuttavia, non possiamo disconoscere che le politiche di spesa realizzate negli ultimi quarant’anni abbiano privilegiato, in termini macroeconomici, il passato ovverosia gli anziani anziché il futuro cioè i giovani. Purtroppo, ancora adesso scontiamo gli effetti di un sistema pensionistico che fino agli inizi degli anni ’90 è stato molto generoso, soprattutto nei confronti dei lavoratori del pubblico impiego e delle aziende di Stato. E’ altresì corretto segnalare che, nella spesa pensionistica, le statistiche internazionali riferite al nostro Paese includono anche l’assistenza: tuttavia, anche depurando l’importo complessivo da quest’ultima componente – ha spiegato Zabeo – la spesa totale si ridurrebbe di circa 2 punti, rimanendo comunque nei primissimi posti della graduatoria europea per i costi sostenuti in materia previdenziale”. 

Ad aggiungere un elemento in più è stato il segretario della Cgia, Renato Mason: “Pur capendo le esigenze del sindacato – ha dichiarato – invitiamo il Governo a riflettere bene prima di modificare la legge Fornero. Se è auspicabile un intervento che sani definitivamente la posizione degli ‘esodati’, agevolare l’uscita dal mercato del lavoro del personale più anziano potrebbe comportare un aumento della spesa pensionistica che, in questo momento, non possiamo permetterci. Con il pericolo, visto che la ripresa economica rimane ancora molto fragile, che le aziende non sostituiscano coloro che andranno in quiescenza”.

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