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Più talenti, più posti di lavoro. L’Italia al 36° posto nella competitività mondiale

Adecco in collaborazione con Insead (Istituto di direzione aziendale internazionale) ha elaborato il primo indice di competitività dei talenti, il GTCI (Global Talent Competitiveness Index), presentando un interessante studio sulla capacità che un Paese possiede non solo di sviluppare talenti ma anche di attrarli e trattenerli, al fine di garantire e potenziare la propria competitività …

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Adecco in collaborazione con Insead (Istituto di direzione aziendale internazionale) ha elaborato il primo indice di competitività dei talenti, il GTCI (Global Talent Competitiveness Index), presentando un interessante studio sulla capacità che un Paese possiede non solo di sviluppare talenti ma anche di attrarli e trattenerli, al fine di garantire e potenziare la propria competitività economica a livello globale. L’indagine è stata condotta su un campione di 103 Paesi in tutto il mondo, quelli considerati forti e in rapida espansione da un punto di vista economico, e che rappresentano l’86% della popolazione e il 97% del Pil mondiale.

In questa speciale classifica, ai primi 10 posti si collocano in modo predominante i Paesi europei (in primis la Svizzera), insieme a Singapore e agli Stati Uniti. L’Italia è presente  al 36° posto. Tra i principali parametri tenuti in considerazione al fine della valutazione ci sono gli investimenti nel campo dell’istruzione e le cosiddette competenze di conoscenza globale, oltre al tasso di disoccupazione giovanile, all’indice di migrazione e al livello di tecnologia.

Cos’è il GTCI e a cosa serve.

Il GTCI è l’indice che misura il livello di competitività tra i Paesi, dal punto di vista della capacità di sviluppare, attrarre e trattenere i talenti. Attraverso l’istruzione, la formazione professionale e l’esperienza da un punto di vista tecnico, si sviluppano competenze di medio e alto livello e figure professionali, manageriali e di leadership. Va da sé che più è alto il livello stimato di questo capitale umano e più il Paese in questione risulta essere competitivo nei confronti dei concorrenti. La mobilità all’estero e la migrazione dei “cervelli” oltreconfine spinge i Paesi ad una vera e propria competizione per aggiudicarsi i migliori, con gravi conseguenze però (in termini di crescita e sviluppo economico) per i Paesi che rimangono indeboliti da queste lacune. Condurre uno studio sul calcolo e l’analisi del GTCI costituisce uno strumento utile a disposizione dei governi e degli organi decisionali nonché delle aziende investitrici che in questo modo possono trovare validi spunti di riflessione per cercare di aumentare questo potenziale, adottando le necessarie misure.

La classifica.

I dati emergono da studi affidabili e fonti autorevoli quali la Banca Mondiale, l’OCSE, l’ONU, gli Executive Opinion Surveys WEF, adottando la metodologia dei più eccellenti studi di benchmarking. La performance di ogni singolo Paese si misura incrociando i parametri di input del GTCI (formazione, attrazione, sviluppo e fidelizzazione dei talenti) con quelli output (vale a dire talenti di livello medio-alto e talenti di global knowledge come manager, imprenditori, ricercatori). Nei primi 10 posti della classifica sul livello di competitività tra i talenti si trovano: 1) Svizzera. 2) Singapore. 3) Danimarca. 4) Svezia. 5) Lussemburgo. 6) Paesi Bassi. 7) Regno Unito. 8) Finlandia. 9) Stati Uniti. 10) Islanda.

Per una migliore analisi dei dati si specifica che il posto in classifica è determinato dalla media di tutti i valori presi in considerazione. Questo comporta che un Paese possa occupare un livello più elevato rispetto ad un altro pur avendo un punteggio inferiore per quanto concerne un determinato parametro. Ad esempio la Svizzera ha meritato il primo posto in quanto eccelle in pratica su ogni fronte ma mostra il proprio punto debole nella capacità di attrarre talenti che, se comparato agli altri Paesi, la sposta al 18° posto della classifica. Così per la Danimarca, seconda in classifica tra i Paesi europei: spicca notevolmente per apertura verso l’esterno, elevata mobilità e forti strumenti di protezione sociale, che le alzano la media facendole meritare il terzo posto nella classifica generale.

L’Italia è al 36° posto. La capacità italiana di attrarre talenti risulta scarsa, così come la presenza delle donne nel mondo professionale, aggravata dalla bassa propensione all’apertura verso l’esterno e dalla limitata mobilità sociale. Guadagna qualche punteggio in più nel campo dell’istruzione sia scolastica che universitaria, valutata qualitativamente elevata ed efficace secondo gli standard internazionali di riferimento.

Il problema del “digital divide”.

Per quale motivo è importante cercare di aumentare il GTCI?  Perché un più elevato numero di talenti (e di misure atte ad implementare il potenziale umano) rappresenta un punto di forza strategico per attrarre non solo le aziende locali bensì di tutto il mondo che, creando nuovi posti di lavoro (aumentando così l’occupazione) e investendo di conseguenza nella formazione professionale dei lavoratori locali, fanno aumentare di riflesso lo sviluppo dell’intero sistema economico del Paese.

Il problema principale da analizzare è quello del cosiddetto “digital divide”. Un divario purtroppo sempre crescente tra competenze che vedono i lavoratori o troppo qualificati (e quindi motivati alla migrazione) o con competenze troppo basse rispetto ai posti di lavoro. A fronte di manager e leader di altissimo livello sono ancora troppi i giovani che arrivano al termine del percorso di studi intrapreso senza alcuna (o comunque molto scarsa) competenza linguistica, matematica, sociale o di attitudine al lavoro di gruppo. In Italia ad esempio si stima che un adulto su quattro non abbia neppure le conoscenze informatiche di base (quali l’uso del mouse) e il livello di performance sul lavoro non superi il gradino base del “minimo indispensabile”, per almeno un adulto su cinque.Un dato minaccioso, se si pensa che in Europa ogni anno rimangono vacanti quasi tre milioni di posti di lavoro. Uno spreco enorme in termini di capitale umano e produttività. E che in Europa siano quasi otto milioni i giovani disoccupati che né studiano né sono iscritti ad alcun corso di formazione o perfezionamento.

Come sottolinea il Ceo di Adecco Italia, Federico Vione, si tratta di un’azione di concerto che deve coinvolgere più attori della scena sociale e politico-economica. I giovani, che devono puntare su istruzione, apprendimento e formazione continua. Le aziende, che devono essere nelle condizioni di poter investire sui talenti e infine i governi che devono aumentare la flessibilità e la mobilità del mercato del lavoro. E questo proprio per colmare quel divario oggi esistente tra le competenze di cui necessitano le aziende e ciò che il mercato del lavoro offre, come ribadisce il presidente dell’INSEAD, Ilian Mihov. Per dirla con Bruno Lanvin, co-autore del rapporto, i talenti stanno diventando la vera moneta con la quale i Paesi competono tra di loro. E Paul Evans, co-editore del rapporto, ha concluso riflettendo sul fatto che la crescita e la fidelizzazione dei talenti è una questione che interessa tutti i Paesi indistintamente, seppur in risposta ad esigenze differenti: i Paesi più ricchi per aumentare le competenze manageriali e riprendere l’occupazione, i Paesi in via di sviluppo per ottenere competenze tecniche di base per costruire infrastrutture e sistemi sanitari e scolastici.

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